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Esuli ibseniani

di Roberta Balduzzi
  Lisa Galantini e Antonio Zavatteri
Data di pubblicazione su web 10/02/2010  

Prosegue il percorso nella letteratura del '900 del Teatro Stabile di Genova, che ha scelto di dedicare al secolo passato il cartellone della stagione in corso. La nuova produzione del teatro genovese rappresenta una parentesi drammaturgica nell'attività di James Joyce. Esuli (Exiles) è, infatti, l'unico testo per il teatro pubblicato dall'autore irlandese, che pure tanto interesse nutriva per il genere. A questo proposito, è provata la sua passione per Ibsen, a cui, in età giovanile, Joyce aveva anche dedicato un articolo (Ibsen's new Drama, 1900), pubblicato nella più qualificata rivista letteraria inglese (Fortnightly Review). Le critiche al teatro irlandese contemporaneo andavano di pari passo, in Joyce, con la necessità di farsi promotore di una nuova drammaturgia, che s'ispirasse a quella continentale e, in particolare, a quella dell'autore norvegese. Dopo avere scritto due drammi da lui stesso distrutti, però, Joyce abbandonò la letteratura teatrale e passò alla narrativa con i risultati a tutti ben noti. Esuli, pubblicato e messo in scena nel 1918, restò quindi un episodio isolato all'interno della sua opera.

 


Una scena (© M. Norberth )


Il testo di Joyce risente, pertanto, dell'influenza di Ibsen: i personaggi sono pochi (solo quattro principali e due secondari), sono quasi sempre sulla scena in due, si affidano più al pensiero che all'azione. Inoltre, il protagonista è una figura estremamente complessa, in conflitto con se stesso e con il mondo che lo circonda, nonché influenzato negativamente dal passato, in cui trova motivi di attrito con il presente. In questo personaggio si notano, in realtà, molti elementi autobiografici, se si compara la trama del dramma con la vita di Joyce degli stessi anni in cui è ambientata la vicenda. Il protagonista è, infatti, lo scrittore irlandese Richard Rowan (Antonio Zavatteri), che (come Joyce) torna in patria nel 1912, dopo un lungo soggiorno in Italia con la moglie Bertha (Lisa Galantini) e il figlio Archie (Giacomo Costella). Nella loro villa nei pressi di Dublino, i coniugi incontrano vecchi amici, tra cui il giornalista Robert Hand (Aldo Ottobrino), compagno d'infanzia del protagonista, e la cugina di quest'ultimo Beatrice (Barbara Moselli). Avvedutosi dei sentimenti che Robert prova nei confronti di Bertha, Richard la spinge tra le braccia dell'amico. La donna non capisce le ragioni del gesto, ma obbedisce alla volontà del marito. Inoltre, Beatrice è innamorata di Richard, il quale sembra ricambiare. La trama si articola, quindi, intorno al tema dell'adulterio e del triangolo amoroso. La passione e la gelosia sfociano nel masochismo e mettono in evidenza l'impossibilità di amare in totale libertà. È probabile che la trama del dramma sia stata ispirata a Joyce da un episodio realmente accaduto e che lo ha portato a dubitare nella sincerità dell'amore della compagna Nora nei suoi confronti: al rientro in Irlanda nel 1909, lo scrittore incontrò un vecchio amico che millantò di avere avuto una relazione con lei. Questa rivelazione gettò Joyce in uno stato di profonda frustrazione, che volse in creazione narrativa.

 


Antonio Zavatteri e Aldo Ottobrino


La forza passionale con cui il protagonista porta avanti i propri intendimenti si esplicita, nel primo atto, nell'interpretazione di Antonio Zavatteri: il tono dell'attore, a tratti, abbandona la sobrietà per spingersi rischiosamente verso il romanticismo psicologico. Semplice, ingenua e vibrante è invece l'interpretazione di Lisa Galantini, nei panni di Bertha, donna di modesta estrazione sociale, che asseconda il marito in virtù di un sentimento di amore sincero: la spontaneità del personaggio si concretizza nella disinvoltura dei movimenti e nella vivacità della recitazione dell'attrice. Le si contrappone la rigida Beatrice di Barbara Moselli, che, pur capace di prove intense, qui interpreta con misura una figura restia a esternare le proprie emozioni. Aldo Ottobrino svolge diligentemente il suo compito, condizionato da esigenze drammaturgiche, che vedono Robert vittima della finzione messa in moto dall'amico.

 


Antonio Zavatteri e Barbara Moselli

 

Come sottolinea lo stesso Sciaccaluga, regista dello spettacolo, a differenza di quanto accade nella drammaturgia ibseninana, il finale di Esuli non ha nulla di liberatorio: nel presente si ripercuotono irrimediabilmente le pulsioni scatenate da eventi passati. Così, le elucubrazioni di Richard, invece di portare a un esito risolutivo, sfiniscono il protagonista e lasciano il finale aperto all'immaginazione dello spettatore. Sulla scena, Antonio Zavatteri delinea le tappe di un percorso che, dalla convinta affermazione degli ideali di libertà nel rapporto di coppia, lo induce alla spossatezza finale, cui si abbandona, anche fisicamente. Nell'ultima scena, infatti, il protagonista si lascia andare tra le braccia della moglie, distrutto dal conflitto interiore generato dalla pretesa di mettere alla prova la propria gelosia. Di contro, Bertha, incredula e disperata per l'atteggiamento del marito, non svela se il tradimento si sia consumato realmente.

 


Una scena dello spettacolo
 

Fedele al testo di Joyce, Sciaccaluga conduce una regia rigorosa, ma con alcuni limiti: i dialoghi si protraggono lungamente senza grandi slanci e imprimono un senso generale di monotonia alla messinscena. La rappresentazione risente anche di una scenografia troppo descrittiva, in cui vengono riprodotti due interni borghesi: se nel cottage di Robert un pianoforte domina la scena, la dimora dei Rowan è invece minuziosamente raffigurata. Si tratta di una scelta didascalica, che non aiuta a dare il giusto risalto all'universalità dei temi affrontati nel dramma. La musica del pianoforte, degli archi e dei clarinetti contribuisce a delineare un'atmosfera malinconica. In generale, la messinscena è caratterizzata dall'assenza di guizzi creativi, che influenza anche la recitazione dei pur bravi attori della compagnia (tutti provenienti dalla scuola dello Stabile), tra cui qui si distingue solo Lisa Galantini. Una ragione dei limiti della regia di Sciaccaluga può, tuttavia, essere rintracciata proprio nel testo, in cui si rappresenta una realtà, quella dell'adulterio, che, se ai tempi di Joyce risultava lontana dalla morale comune, oggi ha perso la carica ideologica ed emotiva che aveva allora.

Esuli
cast cast & credits
 


Aldo Ottobrino e Lisa Galantini


 
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