Forse composta tra il 1598 e il 1599, Molto rumore per nulla è tra le commedie più “attuali” e brillanti di Shakespeare. Il pari valore di ruolo dato ai personaggi di entrambi i sessi risulta originale rispetto ad altre opere shakespeariane: in molte, infatti, lautore tende a relegare le donne allombra di forti figure maschili (Ofelia in Amleto, Desdemona in Otello, Miranda ne La Tempesta), in altre a far prevalere solo una protagonista donna (Caterina ne La bisbetica domata). Anche in Romeo e Giulietta, dove i personaggi femminili hanno personalità ben definite, rimangono comunque nella condizione di sudditanza rispetto a mariti, genitori ed eventi. In Molto rumore per nulla invece troviamo un rapporto equilibrato tra uomini e donne, non molto dissimile da quello odierno; lo si comprende anche dalla vivacità e ironia dei dialoghi. La presenza di una grande varietà di personaggi permette alle compagnie di giocare ad inventarsi scene corali di grande effetto e coinvolgimento ed è ciò che accade con evidenza entusiasmante nella messinscena di Gabriele Lavia, frutto di un laboratorio teatrale svoltosi lo scorso anno con un gruppo di giovani attori, tra cui il figlio Lorenzo.
Lorenzo Lavia in una scena
Lopera è un inno allamore e nello stesso tempo invita a “non fidarsi troppo” delluomo che «è sempre ingannatore», come cita la canzone del musico Baldassarre (atto II, scena III) che viene qui presentata anche allinizio della commedia in forma di prologo, come accade nella versione cinematografica di Kenneth Branagh (1993), in cui, si ricorda, lattore e regista era affiancato nella parte di Benedetto da un cast deccezione composto da Denzel Washington (Don Pedro), Keanu Reeves (Don Juan), Emma Thompson (Beatrice), Michael Keaton (Claudio). La commedia ruota intorno a due coppie di innamorati: i romantici e prossimi sposi Claudio ed Ero, figlia di Leonato, Governatore di Messina, e i litigiosi Benedetto e Beatrice; questi due fanno fatica ad ammettere il loro amore a causa del loro spirito libero e del loro carattere pepato, dando vita a continui battibecchi pungenti e divertenti. A tramare contro larmonia che regna tra i personaggi è Don Juan, il fratello di Don Pedro, di cui Claudio e Benedetto sono i soldati al seguito.
Salvatore Palombi in una scena
Lo spettacolo è frizzante, ironico e ben congegnato con ottime interpretazioni dei protagonisti, circondati da un dinamico coro di attori: una Beatrice tagliente e piena di brio quella di Federica Di Martino, in contrasto con il Benedetto buffo e sarcastico di Lorenzo Lavia; uno sdolcinato, ingenuo ed imbranato Claudio interpretato da Francesco Bonomo, accanto ad una dolce e adolescenziale Ero (Tamara Balducci); dignitoso e beffardo il Don Pedro di Salvatore Palombi, mentre Alessandro Riceci interpreta un Don Juan “capriccioso” e vigliacco, meno viscido di come viene reso di solito. Da menzionare anche le esuberanti ancelle di Ero, Orsola (Silvia De Fanti) e Margherita (Claudia Crisafio), il bravo Pietro Biondi nei panni di Leonato, Gianni De Lellis nei panni di Antonio, il ridicolo Frate Francesco (Andrea Trovato), gli scagnozzi di Don Juan, Borraccio (Igor Horvat) e Corrado (Daniele Sirotti), e il gruppo della Ronda, famosa parte burlesca dellopera, recitata in siciliano da Andrea Nicolini, Luca Fagioli, Faustino Vargas, Viviana Lombardo e Alessandro Cangiani. I chiaro scuri della commedia e dei personaggi sono ben resi dal gioco di luci di Pietro Sperduti: le luci calde e allegre dellatmosfera gaia e leggera vengono infatti smorzate da quelle cupe e fredde ogni qualvolta compaiono in scena Don Juan ed i suoi seguaci.
Federica Di Martino e Lorenzo Lavia
La “freschezza” e lenergia degli attori rendono lo spettacolo leggero e piacevole, veloce nei ritmi grazie anche agli ottimi tagli apportati al testo originale ed alle trascinanti canzoni e musiche composte e suonate dal vivo da Andrea Nicolini. La semplicità della regia (che mostra una grande sapienza ed intuizione teatrale), grazie anche ad una scenografia minimalista e funzionale (un tavolone, varie sedie e due pianoforti in scena) permette di valorizzare le azioni degli attori e la sovrabbondanza di intrighi e complotti presenti nel testo. Una scelta interessante la vestizione degli sgargianti costumi depoca (di Andrea Viotti) che gli interpreti indossano in proscenio, lasciando intravedere labito nero neutro, sottolineando così il tema della “messinscena”, dellessere e dellapparire, della maschera. Così nella “scena del matrimonio” (atto IV, scena I) Claudio nellingiuriare Ero la definirà «apparenza» e si chiederà «gli occhi con cui guardiamo sono o non sono i nostri occhi?» aggiungendo poi al testo originale la frase: «via la maschera». Per non perdere il concetto di “finzione”, caro prima di tutto a Shakespeare e poi allo stesso Lavia, non mancano le cornici metateatrali come lannuncio verbale dei cambiamenti di atti e scene e il dialogo con il pubblico in varie parti dello spettacolo, quasi come a chiedere consiglio o consenso.
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