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Il fatto di Tutuccio

di Lino Angiuli
  Pablo Picasso, Guernica (particolare)
Data di pubblicazione su web 26/10/2009  
Dice mamma che già da piccolo io ero un poco così e così. Non tanto per il fatto che facevo il sonnambulo, ma perché, per esempio, mi mettevo a parlare con le formiche e con gli alberi. O perché mi piaceva più il sale dello zucchero, anche dentro il latte. O perché, a sei anni, sapevo tutta la messa a memoria: Dominusvobiscum, Oratefratres, Confiteor, Itemissaest.

Mi piaceva tanto la messa che in una settimana ne servivo almeno dieci. E non basta. A casa, spicciati i compiti subito subito, mi facevo l’altarino sopra una sedia nel giardino, un bicchiere per calice, due asciugamani legati con una molletta come veste, due bottigliette per l’acqua e il vino, un campanello e via Introiboadaltaredei.

Io me la dicevo e io me la servivo, e mi dovevi sentire al momento della predica: Figlioli, fate i buoni e voletevi bene se volete andare al Paradiso, ché se fate i cattivi dovete andare all’inferno.

 


 

Oh, ma sei proprio un vero monaco, Tutuccio. Diceva zia Menuccia. E mi chiamava spesso a casa sua, in cambio di qualche ficosecco infornato con le mandorle, a dire messe semplici (due fichisecchi), cantate (quattro fichisecchi) e per i morti (due fichisecchi e due carrube stagionate). Io a dire messe e lei, con le figlie, a rispondere e a farsi un sacco di risate. M’ero messo in testa di fare il papa da grande.

Poi, a undici anni, mi successe una brutta disgrazia e diventai veramente così e così. Quella caduta dal traino, la testa sopra un chiancone, mi precipitò la vita.

Hai voglia, dice mamma, a girare specialisti, e hai voglia che mio padre, la buonanima, mi portava tutti gli anni a Padre Pio e ai Santi Medici di Bitonto con una candela da tre chili.

Quella caduta mi fece diventare come una lampadina che sta lì lì per fulminarsi. Certi momenti diventavo capiscente che non ti dico, ma certi altri momenti stonavo e facevo qualche mattezza.

E così sono rimasto, dopo quintali di medicine e chilometri di processioni e chili di cera. Sono capace certi giorni di dirti tutta la messa a memoria, e certi giorni invece non mi ricordo nemmanco come mi chiamo e a chi appartengo.

Per questo in paese mi chiamano come mi chiamò, dopo i primi segni di mattezza, la buonanima di mio padre: “Drittestorto”.

Il fatto è che più grande divento e più la lampadina va storta. Dice mamma che mo’ che arrivo ai quarant’anni capace che sarò tutto storto. Già adesso, la verità, ne faccio e ne faccio di cose un poco fulminate. E poi mi prendono certe fissazioni!

Esempio, tempo fa mi è venuto di vedere se è vero che il millepiedi ce ne ha proprio mille di piedi. Bugia, sono sì e no un centinaio, sono. E allora perché lo chiamano così questi scienziati che non sono altro?

E così mi sono messo a domandare in giro. Scusa mba’ Cenzino, scusate don Antonio, scusate donna Genoveffa, in piazza o al mercato o davanti alla chiesa, ma perché lo chiamate millepiedi se ce ne ha sì e no un centinaio?

Eh, sì! Oggi Drittestorto c’ha il quarto storto. Mi rispondono e mi sfottono pure da sopra; mi sfottono di tutte le maniere.

Dice mamma che non devo dare confidenza a nessuno, ma quelli mi sfottono lo stesso, pure se io tiro dritto col cervello storto.

Avantieri quello sporcaccione di Facciadivespa, che tutti lo sanno quanto è sporcaccione e scornacchiato pure, mi chiama e mi chiede di fargli un piacere grosso.

Gli dico subito sì.

Mo’ cammina, vieni con me. E mi porta alla fontana. Mi dà una scatola di fiammiferi e vuole vedere se sono buono a mettere fuoco alla fontana.

Oh, e va bene che un quarto non mi funziona; ma che vuol dire a sfottermi di questa mala maniera? Fanno tutti i dritti loro, e poi non sanno perché il millepiedi lo chiamano così. Veramente nemmeno mamma lo sa.

E tante altre ignorantità che non vi sto a dire. Anzi no: qualcuna ve lo voglio dire, ché è proprio da ridere. Tipo quando chiamano “aspirina” quella medicina per il raffreddore. Perché si chiama così, dico io, perché si aspira come una sigaretta? No, dicono loro, e ridono. E allora perché si chiama così? Mica mi sanno rispondere. Ridono, ma non mi sanno rispondere, i dritti.

Oppure, mettiamo, tutti gli anni si festeggia il “Primo omaggio”. Allora io domando:

– Scusate, ma il secondo per caso lo fate pagare? E loro ridono, ridono, come sono bravi a ridere loro, ma non sanno come crepo io, in corpo, di risate sopra a loro.

Certuni poi si danno tanta importanza e alzano la testa quando dicono qualche parola inglese, ché mo’, se quando parli non allenti due tre parole inglesi, non sei nessuno. Per questo molti negozi li chiamano tutti con parole sdreuse, prese dall’America o dalla televisione, che poi è la stessa cosa. Tale e quale come ha fatto mio cugino Ronzino, che ha venduto la terra della madre per aprire un “Fast-food”.

Ma scusa, Ronzino, non è per farmi i fatti tuoi, ma se tu vuoi far capire che è una roba da mangiare, perché allora non lo chiami “Past-food” il tuo negozio, così si capisce meglio; no?

E non sanno tante altre cose, che non sanno. Mettiamo la matematica. Gli chiedi a uno che ora è, e quello ti dice, un esempio, le otto e dieci o, come dicono i signori, le tredici e cinque. E ci vuole tanto a fare il conto? Perché non dite diciotto al posto di otto e dieci o diciotto al posto di tredici e cinque? E no. Glielo devo fare io il conto tutte le volte che chiedo l’orario.

Lo stesso errore di sbaglio, più o meno, lo fa Fonzuccio al negozio degli alimentari, dove mi manda mamma qualche volta a pigliare le cose di mangiare.

Quant’è, chiedo io, Fonzu’?

E lui, dopo aver fatto questo più quello più quell’altro, mi dice, un esempio, tre e cinque. Io gli do la diecimila lire sana che mi ha dato mamma e mi aspetto duemila di resto, perché tre e cinque sono otto. Lui, invece, se ne esce con seimilacinquecentolire di resto. Glielo faccio presente e lui, ridendo, mi dice che a me mi fa il riguardo e vai con la Madonna.

Eh sì, la Madonna e il Padreterno.

Ah, ecco. Un’altra fissazione che mi prende forte, certe volte, è proprio quella del Padreterno, che certe volte mi pare Drittestorto come me.

Io dico dentro la capa mia: se è buono e ha creato i cristiani, perché poi ha creato certi mulacchioni come Facciadivespa o Ciccillo Lazampogna, che tutti lo sanno quanto è porco il primo e quanto è ladro il secondo a vendere il vino mischiato con l’acqua? E perché, se è buono, ha creato le brutte cadute e l’inferno?

Dice mamma che è buono sì, ma s’arrabbia se uno è cattivo e punisce se uno fa le cose storte sulla terra. E io non la devo fare arrabbiare, che se no lui mi deve dare la punizione facendomi fare un’altra brutta caduta nell’inferno eterno. E grazie! Questo lo dicevo pure io nelle prediche da piccolo.

 


 

Ma allora – faccio a Padre Oronzo – allora ‘sto Padreterno fa due pesi e due misure.

Ma come? A me che sono un poverocristo mi chiede di perdonare Ciccillo Lazampogna se mette l’acqua nel vino; lui invece, che è assai più forte e più buono di me, lo deve mandare all’inferno per colpa del settimo comandamento.

Quanto a Facciadivespa, poi, io lo devo chiamare fratello e gli devo volere bene pure se mi manda a mettere fuoco alla fontana.

Ma insomma, Tutuccio, che cosa ne vuoi sapere del Padreterno, tu? Mi fa Padre Oronzo.

Io voglio sapere se fa due pesi e due misure. Lo voglio sapere perché mi devo regolare con me, con lui e soprattutto con Facciadivespa.

Parliamoci chiaro, io mica non lo so che il Padreterno è dalla parte mia quando quel porco si mette a sfottermi. Ma però, dico io dentro la capa mia, se lui è dalla mia parte, allora per forza è contro il porco, no? Beh, allora com’è che lui si può arrabbiare con Facciadivespa e io invece lo devo perdonare? Non mi faccio capace, non mi faccio.

Dice mamma che non sono cose per me e che non mi devo fissare, altrimenti la lampadina…

E il fatto del millepiedi non lo posso sapere; e l’aspirina non deve aspirare; e il Padreterno non è cosa per me… Faccio bene allora se continuo a parlare con le formiche e con gli alberi; loro almeno mi sentono e non mi sfottono mai.

E faccio pure bene se, per parlare col Padreterno, mi dico la messa da solo. Me la dico, me la servo, me la suono e me la canto. Dominusvobiscum. Etcumspiritotuo. E, alla fine, Itemissaest, alla faccia di Facciadivespa, di Lazampogna e di tutti quelli che fanno i dritti perché sono storti.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 


 

 

 

 


 




 
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