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Il ’68 non è un romanzo criminale

di Luigi Nepi
 
Data di pubblicazione su web 10/09/2009  

Non si può certo dire che Michele Placido sia un tipo a cui non piacciano le polemiche, cinque anni dopo il controverso Ovunque sei (uno dei film più fischiati al Lido degli ultimi anni) e, soprattutto dopo la grande prova di Romanzo criminale, si ripresenta a Venezia con un film sul ’68, materia da dover sempre maneggiare con cura perché può urtare la sensibilità di molti, soprattutto in Italia dove tutto diventa derby e le varie fazioni sono sempre particolarmente agguerrite e suscettibili.

Placido ci racconta una storia che, da grande affabulatore qual è, mistifica come quasi autobiografica: Nicola (Riccardo Scamarcio), giovane poliziotto pugliese, vorrebbe fare l’attore e questa sua passione lo mette nei guai con i suoi superiori che lo spediscono come infiltrato all’Università della Sapienza occupata dagli studenti. Uno dei leader degli occupanti è Libero Zanchi (un sempre più sorprendente Luca Argentero), che affascina Laura (una sempre più bella Jasmine Trinca), ragazza di famiglia borghese e cattolica, attratta anche dal fermento di idee e novità interne al movimento; Laura e Nicola si incontrano durante le assemblee dell’occupazione e la notte dell’irruzione della polizia nell’università fanno l’amore. Nel frattempo passa al movimento anche Andrea, uno dei due fratelli di Laura e in famiglia aumentano le incomprensioni. Il 1° marzo del ’68, alla manifestazione di Valle Giulia, Laura scopre che Nicola è un poliziotto e non vorrà più vederlo riavvicinandosi a Libero. Nicola lascia la divisa per cercare di fare l’attore e viene accettato all’Accademia di Arte Drammatica. Dopo un po’ di tempo, anche con l’aiuto degli ex-colleghi, ritrova Laura e i due riprendono a frequentarsi, mentre Andrea sembra prendere la via del terrorismo; sarà la malattia del padre di lei a far precipitare gli eventi.

Il film parte molto bene e per una buona mezz’ora fa pensare che Placido abbia decisamente colto nel segno: c’è ritmo, definizione dei personaggi, un’ottima ricostruzione storica, attori decisamente in parte ed un ammiccamento ai toni della commedia che contribuisce ad alleggerire la gravità degli argomenti (notevole il cameo di Silvio Orlando, nella parte di un ufficiale di polizia, che sfida a recitare Nicola e, con la sua interpretazione del Conte di Carmagnola, straccia il povero Scamarcio ed il suo Woyzeck). Ma al momento dell’irruzione della polizia alla Sapienza, con la perdita della verginità di Laura, anche il film perde la sue qualità. Dopo gli scontri di Valle Giulia (dove Placido ci risparmia la retorica pasoliniana sul poliziotto-operaio e lo studente-borghese, per fortuna) la storia vira da affresco di una generazione ad una specie di Jules e Jim della “meglio gioventù”, ed il film si smarrisce in uno squilibrio di troppi pieni (le cose che si vorrebbero dire) e di troppi vuoti (le cose effettivamente dette).

Placido, per alimentare quelle polemiche dove lui sembra trovarsi ampiamente a suo agio, aveva promesso un film sul ’68 “dalla parte sbagliata”, visto che lui il ’68 l’ha fatto come poliziotto. Per fortuna non è così: è chiaro che gli interessano gli studenti e le istanze che li hanno portati a contestare “il sistema”; piuttosto è la dinamica impegno civile-privato che rimane irrisolta e con essa il film. La ritrosia ad usare scene di repertorio e la volontà di ricostruire manifestazioni e cortei certe volte banalizza la rappresentazione, per non parlare di come sciattamente viene risolta la problematica dell’infiltrazione del terrorismo all’interno del movimento.

Il grande sogno non sarà il capolavoro che, tra l’altro, nessuno si aspettava, ma neanche quel pessimo film che in tanti si erano già preparati a fischiare alla Mostra di Venezia. Placido dimostra di aver conservato qualcosa del buono che aveva mostrato in Romanzo criminale: difficile trovare un regista italiano così preciso nelle scene d’azione, ed anche il lavoro sugli attori, compresi i comprimari, è notevole. Peccato che il film si smarrisca, perda ritmo e leggerezza, si faccia confuso e superficiale, in un profluvio di citazioni letterarie. Se il caso Ambrosoli (Un eroe borghese) e la banda della Magliana avevano portato fortuna al nostro autore, il ’68 rivela una volta di più le sue insidie: troppo complesso per entrare tutto in un solo film.

Un appello agli sceneggiatori: è inutile che una produzione spenda milioni di euro per ricostruire la Roma di quarant’anni fa, con tanto di Fiat 600 e vecchie Multipla, quando poi si fa dire a Scamarcio che ha bisogno di un po’ di privacy: è come inquadrare una Twingo.



Il grande sogno
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