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Lo scorpione del deserto

di Marco Luceri
  Hugo en Afrique
Data di pubblicazione su web 07/09/2009  

Al momento della morte, avvenuta nel 1995, pare che Hugo Pratt stringesse fra le mani una croce etiope. Un mistero? Per alcuni sì, per altri invece, che hanno indagato sul legame biografico, affettivo e culturale tra il grande disegnatore e le ex colonie africane dell’Impero italiano, forse no. È il caso di questo documentario della sezione Orizzonti, Hugo en Afrique, girato con passione dal regista svizzero Stefano Knuchel, annunciato dal suo autore come il primo di quattro film dedicati alla vita e all’arte di Pratt, un progetto che si preannuncia tanto ambizioso quanto interessante.

Il racconto di questa storia d’amore tra il celebre fumettista veneziano e l’Africa inizia proprio quando Hugo, ancora bambino, giunge con la famiglia di estrazione piccolo-borghese in quella che lui stesso descriverà come la terra per eccellenza, l’Africa millenaria, «misteriosa e occulta», che agli occhi di un fanciullo prende subito le sembianze di un infinito e oscuro luogo dei sogni. È il 1936 ed è l’inizio di un’avventura visiva senza precedenti, che troverà poi, molti anni dopo, una sua prima rappresentazione creativa nella serie Gli scorpioni del deserto, saga ingiustamente oscurata da quella ben più fortunata di Corto Maltese.


Il documentario, in tal senso, cerca proprio di ricostruire la notevole influenza che la cultura e i costumi del corno d’Africa hanno avuto nella formazione visiva di Pratt; questa tesi, forse non proprio nuova, ma meritevole di essere indagata fino in fondo, viene infatti supportata dalle tavole e dagli acquarelli proposti e che rimandano immancabilmente a un universo figurativo unico e riconoscibile. Le divise colorate dei soldati dei diversi eserciti (italiano, francese, inglese, etiope, eritreo ecc.) presenti allora in quella regione, i paesaggi brulli e sconfinati, le fortezze bianche perse nel nulla, le prime avventure sentimentali con le compagne di scuola, i gerarchi fascisti, le loro marcette, i loro servi e le loro serve dalla pelle nera e calda, le spezie, i profumi, la sedicente casa etiope di Rimbaud, i bordelli pieni dei magici odori del sesso femminile: tutto contribuisce alla creazione di uno stile visivo, prima che materiale, denso perciò di figure-simboli di un tempo che sembrava non avere mai fine. Poi arriva la guerra, la sconfitta dell’Italia, la morte del padre, la prigione, e l’esilio e il ritorno verso l’Italia, che sancirà per Pratt la fine di un’infanzia poetica, del tempo felice delle illusioni, dei misteri vivi della vita.


Hugo en Afrique, oltre a far vedere gli schizzi, gli acquarelli, le tavole animate di Pratt e le vicende della troupe che ripercorre le strade e i luoghi in cui visse il disegnatore, ha molte immagini di repertorio: non solo vecchie fotografie in bianco e nero, ma soprattutto le straordinarie immagini di repertorio girate a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta dallo storico Dominique Petitfaux. Abbiamo così l’occasione di vedere Pratt ritornare sui luoghi della sua infanzia e intraprendere un lunghissimo viaggio verso le zone più inaccessibili di Gibuti e dell’Etiopia con quel coraggio, quella follia e quell’amore verso l’ignoto che solo un avventuriero dissennato e curioso come lui sapeva avere. Il suo sguardo infatti, alla fine, si perde verso l’orizzonte inesplorato e l’infinito. Un saluto all’ultimo beduino e si parte. Con il mistero della croce etiope a racchiudere tutti i misteri di un continente e di una vita intera.





Hugo en Afrique
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