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Certi fantasmi

di Federico Ferrone
   Dowaha (Buried Secrets)
Data di pubblicazione su web 06/09/2009  

Tunisia: una sontuosa casa di campagna in apparente abbandono. Nel settore dei domestici, tre donne vivono come clandestine nel loro stesso paese. Una madre durissima, la sorella maggiore Radia e la giovane e ingenua Aicha (Hafsia Herzi, rivelatasi tre anni fa proprio a Venezia in Cous cous di Abdellatif Kechiche) sono unite da regole di feroce diffidenza nei confronti del mondo esterno. La loro femminilità, e in particolare quella della curiosa Aicha, vengono represse mentre l'ombra di un passato segnato dall'incesto e la morte aleggiano sulle loro vite. L'equilibrio delle tre donne è sconvolto quando il giovane e ricco erede della famiglia proprietaria della casa, che egli crede abbandonata, decide di trasferircisi insieme alla sua ragazza. Dapprima costrette a vivere come fantasmi, invisibili agli occhi dei due giovani proprietari, le tre finiscono col rivelarsi alla ragazza. Temendo di perdere la loro abitazione, la madre e Radia decidono di rapirla e inscenarne la fuga. La convivenza forzata rivela aspetti nascosti: Aicha dà finalmente un po' sfogo alla sua femminilità e  Radia trova il modo di guadagnare qualche soldo in più grazie ai consigli della nuova arrivata. Ma la speranza di normalità verrà spazzata via dalla durezza della realtà e di un passato troppo pesante, che si porterà via anche il desiderio di normalità della più giovane.

Tunisina di nascita ma francese di formazione cinematografica (è diplomata in sceneggiatura alla Femis di Parigi), Raja Amari aveva esordito, sempre su temi legati alla femminilità nel suo paese, con Satin Rouge, premiato come miglior film al Torino Film Festival. Coproduzione internazionale, sostenuta soprattutto da fondi e produzioni francese, Buried Secrets ha anche il sostegno del governo tunisino, abilissimo a incoraggiare l'emancipazione femminile pur reprimendo ogni forma di dissenso politico interno. Il film è meno scontato di quanto ci si potrebbe aspettare da un'opera sulla condizione della donna in un paese in via di sviluppo. O almeno più sottilmente tragico, anche quando sembra avviarsi verso binari un po' scontati.

 La regista sceglie infatti la strada della tragedia cruenta, epilogo inevitabile per un mondo dove le donne si sottomettono al loro senso di colpa e a uomini inesorabilmente assenti, fessi o traditori. Solo dal buco della serratura osserviamo le tre protagoniste abbandonarsi a piaceri tanto piccoli quanto proibiti, in tre sequenze dolorose e spiazzanti: si pettina i folti capelli la madre mentre fuma una sigaretta, si masturba Radia, tenta di depilarsi Aicha. Piaceri che ciascuna delle tre nasconde alle altre. Oltre che unità di luogo, la casa è anche specchio di un paese dove i  contrasti di classe che separano la classe media europeizzata e le classi popolari sono spesso un oceano. Contrasti che l'abbigliamento e soprattutto i dialoghi rivelano in maniera apparentemente didascalica (eppure realistica): vestiti all'occidentale, spregiudicati e compiaciutamente francofoni i ricchi; sobri, conservatori, diffidenti i più poveri. Differenze che tendono al metaforico, ma non troppo. Oltre che un grido di dolore, il film è anche un invito ad agire tutt'altro che commiserevole. Se le cose vanno in un certo modo, sembra pensare la regista, la colpa è anche delle donne che non fanno abbastanza per reclamare i propri diritti.

Dowaha (Buried Secrets)
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