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Lacrime di cristallo

di Sara Mamone
  Lei wangzi
Data di pubblicazione su web 04/09/2009  

Nato nello stato cinese di Hunan e cresciuto a Taiwan il regista ora residente ad Hong Kong affronta di petto e con assoluta determinazione un tema mai affrontato (e certo non con questa lucida accusa) dalla cinematografia e forse neppure dalla storiografia, quello degli anni Cinquanta, gli anni del cosiddetto terrore bianco quando l’isteria anticomunista (con opportuni incoraggiamenti degli States) imperversava, con una ferocia non certo inferiore a quella delle purghe cino-sovietiche. Proprio in quegli anni il regista viveva là la sua infanzia. E quindi il film è al contempo un’opera di indagine storiografica ma anche, soprattutto, uno scavo nella propria memoria, un’ostinata ricerca di verità ma anche il bisogno di misurarsi con la propria biografia. Un po’ meno autobiografico di Baaria il film nasce però da uno slancio creativo analogo e in modo analogo riesce a far parlare la storia attraverso le vicende individuali, anche se assai diversi sono i percorsi, di fedeltà ai propri temi nel regista italiano, di eclettismo internazionale in quello cinese.


 

Le tragiche vicende che sconvolgono la vita dell’irreprensibile famigliola di un pilota che vive rispettata e amabile in un campo militare non sarebbero sostenibili in un romanzo di finzione: troppo diabolico il vilain, troppo buoni i buoni e cattivi i cattivi. Ma ci sono momenti della storia in cui è più facile la divisione tra bene e male, tra innocenti e colpevoli. E in un sistema atrocemente e ottusamente repressivo basta che un solo cattivo si mescoli alla restante umanità per diventare il motore di un’azione tragica. Che è qui quella di un’intera comunità. Denunciati per presunti atti di spionaggio filocomunista il pilota e la moglie vengono arrestati, le loro bambine  mandate in una casa in cui sono mal sopportate, fino a che la più piccola, che è anche la coscienza narrante del film, non viene presa in custodia da un mite e taciturno zio, che era stato spesso amorosamente ospitato nella casa dei genitori. La piccola è anche amica della figlia di un generale e viene protetta dalla moglie di questi, il personaggio più inquieto e drammatico della vicenda: di nobili natali, progressista, nel passato aveva legato ai suoi ideali femministi anche la giovane protagonista (ora moglie innamorata e appagata del protagonista) e non aveva però saputo rinunciare ai privilegi della sua classe d’origine. Il nuovo precario equilibrio precipiterà travolgendo tutti quando la bambina, vivendo con lo zio, si renderà conto che è lui l’informatore della polizia segreta e costui, aggiungendo infamia ad infamia, farà arrestare anche la nobile protettrice della nipote.

Naturalmente è lo stile che distingue quest’opera da un melodramma storico estremorientale, non tanto per la sontuosità delle riprese quanto per l’adesione di genere al Liu bai, una forma espressiva della pittura classica cinese che lascia sempre, pur nelle scene più affollate, spazi bianchi all’immaginazione del riguardante. Nel film in effetti niente è perentorio, la splendida fotografia è nitida e non opprimente, le grandi scene naturali consentono allo spettatore spazio e respiro.  Gli interpreti sono perfetti, prestano la loro arte con una levità che non è mai ambiguità. Anche il titolo, Il principe delle lacrime, rispetta questo spazio bianco per la sensibilità dello spettatore, che può rifugiarsi nella fantasia della fiaba oppure leggere nella vicenda del principe che piange lacrime di cristallo, non potendo evitare la malvagità degli uomini, una più eterna ed universale tragedia.

Lei wangzi
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