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Una vera danza d'autore

di Gabriella Gori
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Data di pubblicazione su web 04/09/2009  

Casanova, in scena al Teatro Rossini di Civitanova Marche per il Festival Civitanova Danza, è la prima vera prova d’autore di Eugenio Scigliano. Il quarantunenne coreografo cosentino che firma il suo primo lavoro a serata per il prestigioso Aterballetto di Cristina Bozzolini.

Una committenza che rappresenta per il giovane artista una decisa affermazione autoriale dopo una carriera di danzatore nelle file del Balletto di Toscana, dell’English National Ballet, dell’Aterballetto, e "l’apprendistato coreografico" svolto dalla metà degli anni Novanta per il Balletto di Toscana con la creazione di Passaggio, Quasi una fantasia, Noon, Grief,  e uasi una fantasia,  per lo stesso Aterballetto che nel 2001 gli ha commissionato Blue. Lavori a cui hanno fatto seguito nel 2004 Metamorfosi notturne per la Compagnia Esperia e Waiting for with vision per VersiliaDanza e nel 2005 Shabby, Dust e Jeux per lo Junior Balletto di Toscana, che hanno consentito ad Eugenio di elaborare uno stile personale. Un’idiolessi apparentemente dégagée che amplia le insospettate potenzialità del linguaggio classico facendolo interagire con le "correnti" contemporanee e arrivando a ridefinire nuovi assetti e bilanciamenti posturali, nuove dinamiche spaziali e nuove modalità espressive.

E l’impronta "scigliana" prende decisamente corpo in un balletto strutturato come un atto unico con tanto di prologo ed epilogo e di cui colpisce la scelta di inquadrare Giacomo Casanova, «un baro, una spia, un imbroglione, un falsario, ma anche un perfetto cavaliere, un gran signore, uno straordinario giornalista, uno scrittore di razza», come ebbe a dire Indro Montanelli, attraverso non la sua vita ma il “flusso di coscienza”. Un espediente di bergsoniana memoria che permette di soffermarsi su momenti che hanno segnato l’esistenza di un uomo che ha già detto tutto di sé nella biografica Histoire de ma vie, ma che riserva ancora delle sorprese se si sa cogliere l’eterna attualità di comportamenti umani tutt’altro che stereotipati e meramente settecenteschi e libertini.

Nella creazione, grazie alla sovrapposizione di piani temporali, scorrono incontri amorosi, giochi di seduzione, duelli, balli di corte, cerimoniali aristocratici, fughe, in un tourbillon visivo ed emotivo da cui traspare un profondo senso di solitudine e una struggente malinconia per l’inarrestabile declino di un mondo destinato ad essere spazzato via dal fatidico ’89. Così questa fictio introspettiva prende le mosse da un superbo assolo di Valerio Longo che davanti ad un enorme specchio, in un ideale richiamo "felliniano", interpreta Casanova solo con se stesso e i suoi ricordi. Quello stesso Casanova che alla fine riapparirà moltiplicato in tanti Casanova che  si congedano con un plateale inchino e lasciano negli spettatori la sensazione di aver visto qualcosa di tutt’altro che effimero e soprattutto non così lontano ed estraneo. Su un accurato medley di melodie barocche e vivaldiane "disturbate" da rumori di chiavistelli, sinistri scalpiccii, infrangersi di lame, si dà spazio all’accadimento coreografico che viene esaltato dalla più assoluta mancanza di arredo scenico, dai ricercati costumi di Khristopher Millar e Lois Swandale, che vestono i quattordici protagonisti con morbidi pastrani chiari, corsetti, calzamaglie, body, e dal caldo riverbero delle luci di Carlo Cerri che seguono le evoluzioni degli interpreti.

Un gruppo di ottimi danzatori che si cimentano nella non facile cifra espressiva di Scigliano, alternando senza soluzione di continuità scene corali, soli, duetti e terzetti. E se una certa ripetitività e lentezza caratterizza le sequenze di gruppo dell’inizio, Eugenio poi acquista sempre più sicurezza nei suoi mezzi espressivi e questo atto unico scorre veloce verso la fine regalando momenti di vera "danza d’autore" nei soli maschili e femminili e nei duetti di cui resta impresso quello con la novizia, che scopre le delizie dell’amore, quello passionale con la donna matura, quello caratterizzato dallo smacco del “Don Giovanni” veneziano.

Non solo ma in questo applaudito Casanova non passa inosservata l’estrema dinamicità di movimenti dinoccolati che rifiutano le strutture assiali codificate, prediligono la circolarità dei passaggi, collezionano energiche prese, improvvisi lifts, taglienti launchs, e puntano su un uso rilassato dei piedi che scattano all’improvviso per sostenere le rocambolesche rotazioni del busto. Un busto che fuoriesce dal baricentro ma è subito recuperato dal controbilanciamento di testa e braccia e dall’approdo sicuro su posizioni en dedans che, insieme al baricentro basso, costituiscono la spinta propulsiva dei passi e danno avvio al "motore" coreografico di Scigliano. Un "motore" che ricorda le sperimentazioni cinetiche iniziate negli anni Novanta da maestri del calibro di Mats Ek e di William Forsythe di cui l’artista cosentino sembra subire l’influenza. 

Eugenio, Premio Danza&Danza 1994 quale migliore danzatore italiano, si conferma un autore interessante e da tenere d’occhio e Cristina Bozzolini, che lo ha chiamato per questo titolo a serata, non smentisce la vocazione di talent scout contribuendo ancora una volta alla causa della danza italiana con uno spettacolo che ha dalla sua l’estrema agilità della messinscena e l’indubbia qualità artistica.

 

Casanova
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