Tra qualche tempo potremo già forse parlare di “nuovo cinema rumeno” o “scuola rumena”, riferendoci alla produzione cinematografica proveniente dal disastrato paese dellEst Europa, che sembra già da qualche anno vivere una felicissima stagione di cinema: nuovi autori (tutti molto giovani), storie forti, uno sguardo sulla realtà asciutto e perspicace, riconoscimenti nei festival internazionali (compresa la Palma dOro vinta nel 2007 a Cannes da Christian Mungiu per il suo durissimo 4 mesi 3 settimane 2 giorni).
Non cè dunque da meravigliarsi se Francesca, del giovane regista, scrittore e produttore Bobby Păunescu sia uno dei migliori film passati sugli schermi della Mostra di Venezia (sezione Orizzonti), e questo vale tanto più se si considera il fatto che assistiamo per la prima volta, indirettamente, alla rappresentazione di quello che i rumeni pensano dellItalia (succede sempre il contrario) e il nostro Paese, come è facilmente prevedibile, non ne esce bene: violento, xenofobo, spaventato, pronto allo sfruttamento. La Francesca che dà il titolo al film, interpretata da una bravissima Monica Barlădeanu, è una giovane pronta a tutto pur di trasferirsi a Milano, per lavorare un po di tempo come badante, prima di aprire un asilo nido per i figli degli immigrati rumeni. Prima però deve racimolare i 2000 euro necessari per la partenza, perché i risparmi non le bastano; tutti allora si adoperano per aiutarla: la madre, il padre, agli amici, il patrigno, mentre il ragazzo, ingenuo e sprovveduto, dovrà subire le angherie di alcuni pericolosi criminali, con i quali ha contratto un debito.
Monica Barladeanu in Francesca
Il legame sentimentale tra i due ragazzi è la traccia narrativa più robusta del film, come lo è la ricerca dei soldi da parte di Francesca, ma come spesso succede nelle pellicole che hanno una forte idea drammatica accompagnata da una messinscena semplice ed efficace, la storia principale diventa il motivo per allargare lo sguardo su tutto quello che si muove intorno ad essa. Ricorrendo infatti a quelli che sono già alcuni stilemi stilistici di quel “nuovo cinema rumeno” di cui si parlava in precedenza (alternanza tra inquadratura fissa e lunghi – ma lentissimi – piani-sequenza, messinscena ispirata al realismo di ambienti piccolo-borghesi), Păunescu ci fa vedere la Romania di oggi come una nazione dolente, dove la corruzione, la sopraffazione, la mancanza di prospettive e la violenza non possono che far fuggire le energie migliori del Paese verso un altrove però altrettanto denso di rischi. Il sogno di raggiungere lItalia, come lidea stessa di Unione Europea, sono più che altro proiezioni di un desiderio di fuga piuttosto che delle realtà veramente esistenti. Prova ne è che, infatti, Francesca a Milano non carriverà mai, richiamata in patria proprio mentre è sulla strada della “fuga”: ci vuole tanto coraggio per partire, ma certe cose non si possono davvero lasciare indietro.
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