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Aiuto, mi si è stretta la sinistra!

di Marco Luceri
  Le ombre rosse
Data di pubblicazione su web 03/09/2009  

Sarà che a una certa età ci si lascia andare ai ricordi e il passato sembra sempre più bello del presente. Sarà magari che una volta la “sinistra” in Italia si poteva scrivere con la “S” maiuscola e oggi al massimo si può scrivere “centro-sinistra” (rigorosamente col trattino, come piace a baffino Max). Sarà che è bello ricordarsi di John Ford e del suo western epocale (annus domini 1939) con John Wayne che, sì, combatte contro gli indiani, ma alla fine è un eroe buono e generoso. Sarà quel che sarà, ma l’ultimo film del vegliardo Citto Maselli, fuori concorso qui alla Mostra, era forse un fiasco già in partenza.



Ne sono passati anni da quel 1970 di Lettera aperta a un giornale della sera, dove la medesima operazione tentata dal regista poteva avere un orizzonte storico e cinematografico di più appropriato respiro; ora, nella maniera in cui è stata realizzata, questa riflessione sulla perdita d’identità, programmatica, ma soprattutto culturale, della sinistra italiana, appare fuori tempo, fuori luogo, fuori rotta. Sottolineiamo questo perché ne Le ombre rosse a mancare è innanzitutto l’idea di fondo: non basta infatti inanellare, uno dopo l’altro, con una faciloneria e una superficialità da principiante, tutti i luoghi comuni possibili e immaginabili sull’argomento: dal centro sociale “Cambiare il mondo” ai giovani idealisti combattivi e solidali, dalla compagnia di teatro d’avanguardia agli intellettuali post-sessantottini infami e traditori, dalla vita (piena di inedie) della comune alla cronica mancanza di soldi, ecc.; tutto questa sembra più che altro il rimpianto di un vecchio per un mondo che (quello sì!) non c’è più, se non nei ricordi di chi faceva le barricate (spesso con i mobili degli altri) e si è poi ritrovato orfano della falce e del martello. Tutto poi per spiegarci che idealismo e realtà quotidiana vanno sempre, alla fine, a cozzare, a vantaggio sempre della seconda? Francamente sembra davvero poco.


Se a ciò aggiungiamo che il film, a dispetto di quei piani-sequenza continuamente esibiti (nonché giustificati ideologicamente! Questa poi…), ha dei buchi di sceneggiatura paurosi, dei personaggi che sembrano continuamente muoversi in maniera irrelata gli uni dagli altri (salvo forse la storia d’amore tra i due giovani rivoluzionari), una messa in scena che sembra approntata lì per lì, senza un’idea unificatrice di regia che sappia determinarla, il quadro finale resta veramente di basso livello. Non bastano naturalmente le prove (peraltro non particolarmente esaltanti) degli attori, se ci eccettua il più che novantenne Arnoldo Foà: a Roberto Herlitzka poco si addice la parte poco cerebrale di un intellettuale “dilettante”, mentre gli altri, da Lucia Poli a Ennio Fantastichini, con quelle macchiette cucite loro addosso, possono solo dar sfogo a qualche guizzo da guitto. A questo punto, come cantava ironicamente qualche tempo fa Paolo Rossi, era meglio morire da piccoli…

Le ombre rosse
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