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La storia di un racconto

di Sara Mamone
  Ehky ya Schahrazad
Data di pubblicazione su web 02/09/2009  

Ha un bel tema forte ed è un film ottimamente congegnato Sherazad, raccontami una storia del regista egiziano Yousry Nasrallah, nato a Giza all’inizio degli anni Cinquanta, critico cinematografico a Beiruth e poi opportunamente ondeggiante tra Il Cairo e Parigi ma, soprattutto, collaboratore di Youssef Chahine negli anni ’80. Pare che ormai i film per prima cosa riflettano su se stessi e che, prima di ogni altra cosa, il regista faccia attraverso il suo film un omaggio al cinema medesimo. Pur non sfuggendo affatto a questo substrato meta cinematografico (aggiornato anzi al più moderno mezzo di fascinazione che è la televisione) Nasrallah riesce a costruire un bell’esempio di cinema di contenuti, a meno che non si abbia il coraggio di definirlo addirittura militante. Con alcuni accorgimenti, naturalmente, abbiamo appena detto che vive tra Parigi e il Cairo.


 

L’accorgimento, che è anche l’anima vera del film, sta nel nucleo drammaturgico portante: una coppia cairota moderna, bella e spregiudicata che vive dei privilegi concessi al mestiere di entrambi (giornalista della carta stampata Karim e seguitissima anchor woman di programmi a sfondo sociale Hebba, in una casa che potrebbe essere stata arredata da un architetto newyorkese) si trova di fronte ad una scelta ineludibile quando lui viene proposto per una promozione purché lei ammorbidisca i toni di una denuncia sociale che viene vista come denigrazione dell’eccellente politica in corso. Esporsi in una denuncia chiara e diretta di un regime non certo liberale sarebbe una soluzione, oltre che troppo coraggiosa, anche drammaturgicamente ovvia, e infatti la maestrìa dell’autore sta nel viraggio personale, nell’affrontare di petto non il problema del rapporto col potere o quello della soggezione della donna (che sono i veri obiettivi del tutto) ma quello individuale del rapporto di coppia, la complessa alchimia fatta di reciproche protezioni ma anche di gelosie umane e professionali, le iniziali ambiguità di entrambi, lo smarrimento, la difesa apparentemente convinta di una reale parità.


 

Fino a quando la realtà vera non diventa troppo prepotente e l’apparente (?) disponibilità della giornalista a sostituire le sue inchieste con più morbidi incontri femminili, si trasforma in un devastante atto di accusa alla violenza degli uomini. Soccorso dalla magnifica tradizione narrativa della sua cultura Nasrallah riesce a trasformare lo stupido e un po’ avvilente talk show nella ricostruzione di tre mirabili esempi (veramente degno dei racconti di Sherazad almeno quello centrale, del giovane commesso seduttore delle tre sorelle eredi del negozio paterno) di prepotenza maschile e di umiliazione femminile. Alla fine, a chiudere il cerchio,  Hebba, massacrata di botte dal marito licenziato, non trasforma se stessa nella protagonista dell’ultima storia, divenendo, insieme, narratrice e narrazione, portando a termine in modo impeccabile l’omaggio che il regista intende fare anche alle attrici del suo paese, mortificate nell’ultimo ventennio di conservatorismo religioso e di misoginia, relegate in ruoli ombra al cospetto dei divi uomini. Se la struttura narrativa funziona perfettamente e le tre storie sono nitide, compiute, assai ben recitate, forse un elemento di debolezza sta nella coppia della “cornice”, nei due attori, bravi, ma un po’ senz’anima.

Ehky ya Schahrazad
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