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Il sogno del Sogno

di Anna Menichetti
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Data di pubblicazione su web 21/07/2009  

Pochi autori come Shakespeare hanno saputo “saccheggiare” il passato teatrale e letterario proiettandolo in un futuro perenne. A sua volta pochi autori sono stati, come Shakespeare, “saccheggiati” in  letteratura, nel teatro, nelle arti figurative, in musica. L’opera nasce da spunti di diversa provenienza (Chaucer, Ovidio, Plutarco, Apuleio) ma è anche una originale costruzione, chiave di volta nella sua produzione (1596) alla quale seguirono diciassette anni di capolavori.

Britten cadde nella rete magica di Sogno a partire dal 1948: «Il libretto è già bell’e pronto» scrive, e con l’amato Peter Pears lo piega alla musica. Sí, perché questo è il pregio di Sogno e della poesia teatrale shakespeariana: la flessibilità, il potersi permettere vesti senza tempo. È anche vero che Britten aveva sete di passato – Dream viene spesso accostato a The Rake’s Progress di Stravinskij, a quell’impeto di sguardi all’indietro che caratterizza proprio la metà del Novecento – ma sempre si dimentica che fra il 1947 e il 1948 Britten si accingeva a creare una nuova versione della settecentesca Beggar’s Opera di John Gay, anche questa volta affermando di trovarsi davanti a  un libretto già pronto!

In quel momento Britten affilava i suoi mezzi espressivi: strumentazione portata alle soglie dell’espressione verbale; timbri scolpiti in un pannello di nuances sofisticatissime; caratterizzazione ironica dei personaggi e a volte ghigno e sberleffo armonico; vena popolare elevata a status drammatico. È lì che l’autore coglieva il segno profondo del pensiero shakespeariano: «A dream itself is but a shadow» dice Amleto, laddove le ombre sono attori (shadows) e gli attori sono mendicanti (beggars) e solo loro sanno rappresentare la verità. The Beggar’s Opera dunque sul fine degli anni Quaranta influenza A Midsummer Night’s Dream  del 1960 così come le incisioni di Hogarth avevano ispirato The Rake’s Progress del 1951.

Bene ha còlto Robert Carsen l’accostamento folgorante della storia “alta” di Oberon e Titania all’evento teatrale popolare degli attori mendicanti in cerca di rappresentazione e del Puck saltimbanco di corte. Una regia geniale nata nel 1991 a Aix-en-Provence, giunta in Italia al Ravenna Festival sotto la bacchetta di Gary Bertini nel 1995 e approdata ora al Teatro alla Scala di Milano.

Sogno di Britten è un assoluto gioiello teatrale e musicale: in Carsen l’enorme letto attorno al quale si inizia a giocare l’opera è contornato da fate-bambini, cosí come di un bambino è il contendere amoroso fra Titania e Oberon: quel letto non è solo alcova o nido o mondo: è soprattutto parte dell’infanzia, stazione della vita, luogo proibito da violare e sul quale divenire adulti mimando gli adulti, senza smarrire i sogni e senza rinunciare ai giochi. Carsen, con le scene di Michael Levine e le luci di Davy Cunningham, crea il sogno del Sogno seguendo attento ogni personaggio-suono, attore-strumento, parola-timbro. Andrew Davies fa scivolare liquida e leggera una partitura articolatissima, troppo bella per essere di immediata percezione.

Nella compagnia del 13 giugno, tutta degna di menzione, spiccavano l’Oberon serio e pomposo di David Daniels, la brillante Titania di Rosemary Joshua, il Bottom assurdo e insieme realistico di Matthew Rose, l’atletico e seduttivo Puck di  Emil Wolk. Menzione d’onore anche al pubblico: non tutti conoscono quest’opera; pubblico scaligero estivo e in parte turistico. Bello, perché alla fine, rapito.



A Midsummer Night’s Dream



cast cast & credits

Britten
 Benjamin Britten




 
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