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Una sfida da sostenere

di Simone Gallinella
  Un piccolo gioco senza conseguenze
Data di pubblicazione su web 13/07/2009  

Una sfida da sostenere. Massimo Chiesa, noto produttore teatrale (ha lavorato con Sergio Castellitto, Giobbe Covatta, Anna Bonaiuto, solo per citarne alcuni), in un periodo in cui l’Italia è tormentata da una rilevante crisi economica, ma ancor più da una profonda crisi culturale, prova a suo modo a smuovere le acque; seleziona una trentina di giovani attori (quasi tutti diplomati all’Accademia Drammatica Silvio d’Amico) e con loro dà vita a una nuova compagnia teatrale: The Kitchen Company. Un passo controcorrente, sembrerebbe, ma visti i primi risultati, sicuramente di buon auspicio. Un piccolo gioco senza conseguenze di Gerald Sibleyras e Jean Dell, allestito nella splendida cornice del Chiostro di San Nicolò che fa, con il suo giardino, il pozzo e il porticato, da quinta naturale a un’incalzante e dinamica pièce in cui, cinque personaggi non ancora trentenni, per una piccola bugia detta per scherzo, si ritrovano coinvolti in un meccanismo a domino che cambierà radicalmente le loro vite.

Il titolo è appunto ironico, poiché il gioco a cui si fa riferimento è quello che la protagonista, Chiara, innesca fin dalle prime battute, un gioco che, articolato in un susseguirsi di colpi di scena, avrà, di fatto, delle conseguenze catastrofiche. Durante la festa che celebra la vendita del casale di campagna della famiglia del protagonista (Bruno), la sua fidanzata (Chiara), pur di mettere a tacere il cugino di Bruno (Patrizio), da sempre sostenitore accanito della coppia e rompiscatole sopraffino, gli confessa che, dopo ben 12 anni, la loro storia si è appena conclusa. Bruno, preso di sorpresa, si ritrova, suo malgrado, a dover reggere il gioco iniziato da Chiara. Entrambi, però, sono ignari di quanto questa piccola bugia riuscirà a scatenare poiché, già da tempo, c’è chi aspetta la fine del loro fidanzamento.



Ed ecco entrare a fare parte del gioco anche altri due personaggi: la migliore amica di Chiara (Alessia), e un amico di infanzia di Bruno (Sergio). Lo spettacolo, con le sue innumerevoli entrate e uscite degli attori, mette in evidenza l’attenta e composita regia di Eleonora d’Urso (artista a tutto tondo, l’abbiamo già ammirata in questa edizione del Festival alla Sala Frau, quando ha diretto e recitato in Letture poetiche – Benchè il parlar sia indarno…, a cura di Ernesto Galli della Loggia), nel modellare lo spettacolo e gli attori alle non semplici esigenze sceniche e nel far emergere tutta la freschezza della commedia. Un testo tipicamente francese, in cui i personaggi vengono fin troppo disegnati ed esasperati dai loro cliché, dove si indagano le dinamiche relazionali della coppia, l’autenticità dei rapporti e ci si interroga sul valore dell’amicizia.

La rappresentazione, aperta a un massimo di 60 spettatori, fa, oltre che delle sfumature tragicomiche degli eventi, dell’affiatamento e bravura degli attori il suo punto di forza. Quello che ne emerge è l’attività corale degli interpreti, l’indagine accurata all’interno delle diverse “patologie” umane. Da una Ilaria Falini (nei riusciti panni eccitati di Chiara), a un Diego Venditti (vero caratterista del gruppo), senza tralasciare i bravi Luca Avagliano, Daria D’Aloia, Daniele Parisi e la bellissima suoni della chitarra e della voce di Maria Pierantoni Giua. Questo il “capitale umano” sul quale Massimo Chiesa dovrà investire quando già dalla prossima stagione teatrale vedrà, lui e il suo gruppo di giovani attori, girovagare per i teatri d’Italia con altri tre spettacoli: The Kitchen di Arnold Wesker, Nemico di classe di Nigel Williams, e Mea Culpa di Eleonora d’Urso. Visto l’oscuro periodo storico che gli e ci tocca vivere, l’impresa appare titanica, ma la voglia di scrollarsi di dosso la fuliggine di questo presente, è altrettanto smisurata.



Un piccolo gioco senza conseguenze
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