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L'uomo che guardava (passare) i treni

di Marco Luceri
  Il mondo di Horten
Data di pubblicazione su web 22/06/2009  

A volte può capitare che in mezzo ai blockbusters che riempiono le sale nei mesi della calura estiva spunti fuori qualche gioiello inaspettato. È il caso de Il mondo di Horten, straordinario piccolo film europeo (è una coproduzione franco-norvegese) che ben altro pubblico avrebbe meritato rispetto a quello sparuto e assonnato di fine giugno. Se anche una pellicola come questa sconta sulla propria pelle la sconsiderata politica dei distributori del nostro continente c'è davvero da stare poco allegri sullo stato del cinema europeo.

Tuttavia ben altre sedi sono adatte a discorrere di questo annoso e gravissimo problema, per parte nostra ci limitiamo a segnalare la straordinaria freschezza e intelligenza di un film fatto con pochi soldi, ma forte di un'idea drammatica azzeccata e di un'altrettanta solida messa in scena. La storia del film è davvero semplice: per il sessantasettenne Horten, che per quarant'anni esatti ha sfrecciato nella neve e nei ghiacci della Norvegia guidando treni, è arrivato il momento della pensione e le sue giornate iniziano ad acquistare una nuova luce. Ormai liberata dal ritmo incalzante delle giornate lavorative, la sua vita di scapolo solitario può riprendere smalto e così il nostro "eroe" si concede passivamente agli incontri più strani e inattesi: un bambino che non vuole addormentarsi, l'amico cameriere di un bar di mezza sera, un manovale dell'aeroporto, un venditore di barche, la commessa di un tabaccaio morto, un ex diplomatico un po' rimbecillito, che guida la sua auto a occhi chiusi e citando Strindberg, con grosso cane appresso, finanche una misteriosa donna che spunta (forse) da un passato lontano e doloroso.

Il regista Bent Hamer ci racconta tutto questo con delicata ironia, lasciando che il ritmo si dilati lentamente, fino a far emergere tutta la straordinaria quotidianità di ogni gesto, di ogni attesa, di ogni fermarsi e ripartire. In un'atmosfera quasi surreale, che mischia il senso di solitudine alla Kaurismaki alla sonnolenta provincia profonda di un Simenon, a farci da guida, straniata e divertita, è l'espressività compassata dell'attore Baard Owe, la sua maschera impenetrabile e disincantata a metà strada tra Maigret e Paolo Conte.

Nel film, che è anche un ritratto inedito di un paese che ci sembra sempre così irrimediabilmente lontano, come la Norvegia, conta soprattutto l'afflato dei luoghi: la casa di Horten (con due finestre che immancabilmente danno sulla ferrovia), il bar pieno di tante solitudini, le strade innevate e silenti di una Oslo quasi sempre notturna, la casa del sedicente diplomatico piena di feticci africani (rimando a un esotico e altrettanto irraggiungibile altrove), fino alla carrozza locomotrice del treno che si porta via tutte le storie e tutti i personaggi. Alla fine, resta solo un amaro sussulto: quello della vita (piccola e unica) contro il manifestarsi inaspettato della morte. Come se tra le due ci fosse solo un lungo treno di vuoti da riempire. Un buco senza senso dove cercarsi, senza trovarsi.

 

 

Il mondo di Horten
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