Riconsegnando la tazza
vuota del caffè alla hostess china sopra la sua spalla, aveva girato un ultimo
sguardo al gruppo dei colleghi inviati dai giornali per l'appuntamento annuale.
l loro occhi lasciavano intendere come la trasferta li eccitasse, anche ora che
il silenzio stava per insinuarsi tra quei sorrisi contagiosi come una
precauzione indispensabile, quasi un rito necessario all'incolumità. Fatta scattare la fibbia
metallica della cintura che lo assicurava al sedile, Giulio si preparò alla
discesa. Collo e tempie gli pulsavano rapidi, quasi quanto il lampeggiare fitto
del fanalino all'estremo dell'ala ritagliata nell'oblò; il cambiamento di
pressione lo obbligava a deglutire sempre di nuovo per liberare i timpani, e
ogni volta sentiva come uno strappo alla gola. Che stesse per cedere anche lui
alla cinese, si era chiesto, mentre ripensava ai focolai che da un mese lo
attorniavano. Se linfluenza laveva risparmiato, era solo per fare di lui un
superstite da spedire ora in farmacia ora al supermercato, perché la vita di
una dozzina di individui, tra parenti e amici, non restasse priva dello stretto
necessario per sostenersi e fronteggiare la malattia. Sotto di lui stava
nascendo una orchestra di luci, una fuga di arterie fluorescenti che
irradiavano la città in lungo e in largo. L'aereo aveva sorvolato la pozza
abbagliata di uno stadio, poi gli sbuffi viola di un gruppo di ciminiere dal
collo cosparso di lucciole, per adagiarsi infine sulla pista col rombo di una
bestia placata e terminare la corsa tra gli hangar sonnolenti divisi dai
cordoni di neve accatastata. L'attesa per il bagaglio
era stata minima, ma l'accenno di emicrania trovava ora nel taxi surriscaldato
l'occasione per espandersi. Insieme a lui cerano altri due colleghi. Gli
alberghi verso cui si stavano dirigendo, poco distanti l'uno dall'altro,
facevano circolo attorno agli uffici e alle sale di proiezione dove la sera
stessa si sarebbe inaugurato il festival. La donna che gli sedeva accanto
diceva di pregustare già il bagno caldo che l'avrebbe rimessa in sesto prima
del galà. Ci sarebbe andata senza assistere al film d'apertura, che aveva purtroppo
già visto a Parigi — non lasciando intendere se quel purtroppo valesse come una
squalifica, un suo personale rammarico per quelle due ore buttate al vento. L'uomo,
invece, con la faccia quasi schiacciata al finestrino, borbottava qualche
commento spocchioso sulla grafica dei cartelloni che inneggiavano al festival, divenuti
sempre più fitti a misura che la vettura guadagnava le zone adiacenti al
centro. Adele si chiamava quella donna, più giovane di lui di una decina
danni, per la quale aveva sempre sentito e sentiva ancora un certo trasporto;
mentre dell'uomo, che anno dopo anno, non richiesto, si prestava a fare da
consulente a tutti, Giulio a malapena ricordava la sigla dell'agenzia presso
cui lavorava. Vedendoselo davanti
all'improvviso, la signorina della recezione aveva strabuzzato gli occhi; ma un
istante dopo, con un sorriso non più schermato dai larghi occhiali con i quali
Giulio la ricordava, fece segno di riconoscerlo. – Ecco a lei, signor Frangini. – aveva detto, mentre con una mezza rotazione
si era voltata per prelevare la chiave di una stanza dal riquadro dietro le
sue spalle. Ma un'altra volta non
dimentichi di mandare un fax con la conferma
— disse la signorina, porgendogli un piccolo birillo numerato con la
chiave agganciata all'apice. Giunto nella camera
assegnatagli, Giulio saggiò la consistenza del guanciale e del piumino,
schiacciò due volte l'interruttore della lampada sul tavolino da notte, socchiuse
la porta del bagno e vi gettò unocchiata veloce: nulla sembrava mutato. Infine scostò le tende della
finestra per guardare di sotto le vetrine illuminate dei negozi. Ma anziché
quelle, trovò le pareti strette e grigie di un cortile, dal quale, rose in
parte dalla ruggine, risalivano delle scale a chiocciola incolonnate ai quattro
angoli. Se ne stupì, ma senza provare un vero rammarico: escluso dal traffico,
il suo sonno ci avrebbe persino guadagnato. Il pensiero gli comunicò una serenità
quasi vacanziera. Ma un attimo dopo, voltandosi a guardare quella stanza
intristita dal neon, avvertì invece come una sorta di infausto presagio, un
improvviso calo di energia che mise in relazione alla fatica del soccorso
prestato al suo giro di infermi, all'ansia dei preparativi che già qualche
giorno prima della partenza aveva cominciato ad affliggerlo. Tolti i pantaloni e il
maglione, si infilò sotto le coltri: una decina di minuti sarebbero stati
sufficienti a rinfrancarlo. Non appena ebbe abbassate le palpebre lo colse,
chissà perché, il pensiero di Adele che in quello stesso istante, avvolta in
una schiuma vaporosa, stava spremendo via la stanchezza dal suo corpo. Come
d'incanto si sentì investito da quella nube profumata, che della donna scopriva
gli omeri a fior d'acqua e la nudità rifratta sul fondo della vasca. Adele
pareva guardarlo come da una nebbia lontana, con le stesse occhiate
soccorrevoli con le quali in passato più di una volta gli aveva alleviato
l'impaccio delle cene collettive, a conclusione di giornate annegate nel chiuso
di una sala buia, passate a sforzare la vista sui sottotitoli di pellicole proiettate
in successione ravvicinata, ad ascoltare lingue spodestate dalla traduzione
simultanea, in un tempo che si protraeva fino alle immancabili
conferenze-stampa. Ora lei lo stava chiamando a sé, con la mano gli faceva
segno di avvicinarsi, lo invitava a immergersi e a disperdere insieme a lei
ogni spossatezza nel calore liquido di quell'alveo accogliente: un calore
intenso, che Giulio sentiva espandersi in tutto il corpo,
divenuto un centro soporifero nel quale grazie a quel dolce invito. Tutto ciò pareva
svolgersi in un modo del tutto naturale, come si era augurato che avvenisse con
Adele: non nella città dove vivevano senza sapere l'uno dell'altro, bensì in
quella lontananza nella quale si stemperava ogni altro loro legame o
appartenenza. Era stato bello, anche se
per un tempo brevissimo, essere avvolto dalle soffici braccia di Adele; ma
adesso, al risveglio, quelle braccia erano di colpo svanite lasciandosi dietro
un languore inerte e una specie di soffocamento che Giulio attribuì all'aria
troppo asciutta dei caloriferi — quell'aria gli aveva disidratato i polmoni, ed
essi ora, nel rigettarla, gli rendevano naso e gola incandescenti. La sveglietta digitale
sul comodino segnava cifre insospettate. A quest'ora la proiezione era finita
da un pezzo e con tutta probabilità gli invitati eccellenti, i fotografi e la
stampa già si accalcavano nell' immenso salone dell'Intercontinental. Giulio
fece per sollevarsi, ma un attacco di tosse gli
rigettò indietro la testa sul cuscino. Sporgendosi su un lato per scatarrare
nel tovagliolo di carta con le iniziali dell'hotel, fu preso da un improvviso
capogiro che lo dissuase dal recarsi
allapertura dei festeggiamenti. Di ritorno dal bagno, benché debole,
dopo aver mandato giù due aspirine, si portò fino al telecomando che sporgeva
dal mobiletto del televisore. E giacché era in piedi, estrasse il pigiama dalla
valigia e lo indossò, aggiunse un altro cuscino e riprese la posizione
allungata di prima. Dopo di che si mise ad armeggiare coi programmi. Li fece scorrere uno dopo
l'altro, cercando immagini che gli parlassero prescindendo da quell'idioma per
lui incomprensibile. Dun tratto apparve De Niro, proprio lui, il calice
sollevato, sorridente ed enigmatico, che ammiccava alla telecamera. Era chiaro
che non stava recitando, perché un cameriere gli era maldestramente passato
accanto sfiorandogli una spalla. Con lallargarsi del campo era emerso al suo
fianco il direttore del festival, anche lui in smoking, e accanto a lui un paio
di celebrità femminili con il petto che traboccava da ampie scollature. Tra
festoni variopinti dai bordi traforati a guisa di pellicola e torte a più piani
sormontate da una candida cinepresa rivestita di glassa, si intravedevano gli
invitati, numerosissimi, chi impettito e avaro di gesti, chi remissivo o
ironico nel concedere pose a operatori televisivi e fotografi. Giulio considerò che
tutto sommato era assai più confortevole trovarsi nella sua stanza d'albergo e
spiare, come dal buco di una serratura, nel marasma della festa. E dimprovviso
si ricordò di quando ragazzo, costretto a letto da una febbre improvvisa, aveva
incaricato un amico di riferirgli per telefono i particolari del vernissage di
una giovane pittrice — non però giovane quanto lui — che aveva deciso di
incamminarlo sul sentiero dell'arte e dell'amore. Nel ripensare all'episodio, e
alla donna la cui larga considerazione si era rapidamente involata come tante
altre passioni di miccia corta, Giulio avvertì, con uno scarto interno,
un'improvvisa tenerezza per Adele. Una tenerezza accresciuta dalla scena ancora
viva del lungo dormiveglia, che non aveva nulla delle cose immaginate e subito
dimenticate. E mentre rifletteva su quel transfert, del resto assai comune, gli
parve di individuare lamabile collega in una sagoma lasciata sullo sfondo
dalla telecamera, nel suo sguardo che sembrava scrutare da lontano, incurante
delle bocche che si aprivano e chiudevano lì accanto; uno sguardo che anziché
mostrarsi curioso degli invitati sembrava cercare piuttosto nella calca una
persona attesa. Spense il televisore a un
nuovo cambio di inquadratura, quasi vergognandosi di quella attribuzione di
interesse nei propri confronti. In verità, l'aver mancato il film e il ricevimento lo faceva sentire un
escluso, un impedito. Un senso di solitudine e di rammarico gli piombò addosso
improvviso; e dun tratto avvertì una vena di estraneità verso quelle mura e la
sua stessa professione, che tre o quattro volte l'anno gli imponeva dei
soggiorni obbligati, a dispetto del suo libero e gioioso trasporto per il cinema. A spazzare via il sonno e
le vane fatiche necessarie a ripristinarlo, intervennero il frastuono
dell'ascensore amplificato dal corridoio, la ventola dell'aerazione, lo scolo
dell'acqua dalle cisterne in cima ai terrazzini desolati. Dischiusi gli occhi
su quella fanfara, Giulio istintivamente si tastò il collo, che gli doleva,
scoprendone ai lati un gonfiore sospetto di ghiandole. La zona adiacente alla
giugulare si era così ispessita che pareva un nerbo di bue; il petto mandava
colpi esagitati che risalivano lungo il tratto mascellare, fin sopra le tempie;
la materia cerebrale pareva sul punto di implodere nella cavità ossea che la
conteneva. Un po lo allarmava
l'idea di una malattia da curare fuori della cerchia solidale delle amicizie e
dei congiunti, cui appartenevano anche medici disposti a passare, tra una
visita e l'altra, persino due volte al giorno. Quella tutela, sulla quale in
passato aveva potuto contare nelle varie occasioni di infermità, adesso veniva
meno proprio nell'ora del maggior bisogno, quando l'uomo cioè, sradicato dal
proprio ambiente, giace abbandonato a se stesso. Chiedendo gentilmente
alla signorina della reception che la prima colazione gli venisse servita in
camera, Giulio spiegò di non sentirsi
per niente bene e concluse dicendo di aver bisogno urgente di una visita
medica. La signorina lo informò che i medici in genere si scomodavano solo di
fronte a una seria sintomatologia; che conveniva perciò aspettare fino a sera e
verificare un eventuale espandersi del malessere. Riattaccando, Giulio
socchiuse gli occhi rassegnato. Ma un attimo dopo era già fuggito col pensiero
al festival, alle prime tre proiezioni la cui cronaca era attesa nel pomeriggio
dallo studio radiofonico per il quale si trovava lì come inviato. Che fare, a
questo punto? L'unica cosa sensata era mettersi sulle tracce di Adele,
lasciando da parte qualsiasi fantasticheria e confidando sul suo pietoso
soccorso. La mattinata Giulio
l'aveva passata in un dormiveglia ininterrotto durante
il quale i sintomi affacciatisi qualche ora prima avevano avuto tutto il tempo
di acquisire la loro piena morfologia. Lintero corpo adesso ribolliva in un
vero e proprio accesso febbrile che lo faceva
sentire come rinchiuso tra le vetrate di un giardino dinverno, ora addolcito
ora sferzato da un raggio di sole. In tutto quel torpore,
trovarsi lì o a casa sua non faceva poi molta differenza. La questione era
unaltra: l'insostituibilità del suo operato. II caporedattore, sottovalutando
i rischi della salute, aveva affidato tutte le corrispondenze ad un unico
inviato. E adesso quell'inviato bisognava rimetterlo al più presto sulle gambe.
Cosa piuttosto improbabile. Altrimenti Giulio sarebbe dovuto ricorrere
allaiuto di quellunica collega con la quale una collaborazione era pensabile. Nel primo pomeriggio,
messa al corrente della cosa, si era presentata Adele con unaria un po
trafelata, un pacco di materiali per la stampa sui film di quella prima
giornata, una sportina con sopra stampato il logo del festival da cui svettava
un poster arrotolato, e il computer portatile stipato in una borsa in bilico
sull'omero. Lasciata ricadere ogni cosa sulla moquette, aveva fatto per
avvicinarsi, ma lui scuotendo il capo le aveva intimato la distanza di
sicurezza. Dal bordo della poltrona Adele lo aveva scrutato brevemente, con lo
stupore di chi mette a confronto due aspetti discordanti di una medesima
persona cercando nella memoria i segni premonitori di quella trasformazione.
Ma, inaspettatamente, il pallore diffuso
su cui naso e orecchie arrossati risaltavano come un dettaglio esaltato a scopo
caricaturale, e quellespressione smarrita frammista a pudore di Giulio, provocarono
nella donna una breve risata, che a stento riuscì di reprimere, e della quale
si scusò prontamente. — Povero Giulio — sospirò Adele. — E che non ti avevo mai
visto con una cera simile. Ma non devi preoccuparti, sistemeremo insieme ogni cosa, finché non ti sarai rimesso del tutto. II tono sincero della
donna, quella fiduciosa pacatezza con cui aveva pronunciato insieme e ogni
cosa, e i significati che l'accostamento dei due termini, al di là della contingenza,
poteva racchiudere, lo distrassero momentaneamente dalle rogne della malattia.
Solo quel limitativo finché ve lo riportò di nuovo, mettendolo un po'
nei panni di un Pinocchio moribondo al cospetto della Fata. Ma tralasciando
queste ed altre oziose considerazioni, Giulio si rese conto della necessità
urgente di concentrarsi sul presente; e al presente Adele infatti lo richiamò
allungandogli un mucchietto di fotografie, di locandine ripiegate, di sinossi
riguardanti i film di quella prima giornata. L'ammalato faticò ad
appuntare il suo sguardo mezzo tramortito su quella mole di materiale. Nelle
sue condizioni riuscivano a malapena a incuriosirlo delle immagini, mentre di
leggere non se ne parlava. A un certo punto, schiarendosi con garbo la voce
fortemente arrochita, Giulio osservò: — Dal tipo di vestiti e dall'arredamento
della casa, sembrerebbero dei contadini. Difficile per noi, trattandosi di un
popolo asiatico, farli corrispondere a un'epoca precisa. — La storia si svolge nel
Giappone del dopoguerra — precisò Adele. — E quelle sono facce di gente
qualsiasi che non si perde d'animo di fronte a nulla. Nemmeno l'inondazione
delle stalle con la perdita del bestiame, nemmeno il flagello della malaria
riescono ad abbattere questi uomini.
Eppure, l'intero villaggio è devastato dalle faide. — Dunque c'è dell'odio. E
a monte di quell'odio? — Una storia d'amore tra
giovani di famiglie nemiche, appena abbozzata, che finisce misteriosamente in
disgrazia. — Perché misteriosamente? — Perché, non si sa come, la barca si rovescia
lasciando perire nell'incidente soltanto la ragazza. — Quei due, si conoscevano da tanto? — Da quando erano
bambini. Ma adesso soltanto cominciavano ad accorgersi che i loro giochi non
erano che un pretesto per lasciar tempo ai
sentimenti. — È così nel film? — ha
chiesto Giulio, scrutandola negli occhi. — No, sto aggiungendo del
mio — ha detto Adele. — Così piace di più anche a me — ha sorriso
lui. Poi ha soggiunto: — Suppongo che dopo il naufragio la famiglia della
ragazza, ignara o ostile all'amore, abbia reagito allo strazio vendicandosi. — Non prima di aver
scelto come alleato un giovane tutt'altro che luminoso. Uno al quale,
nonostante le insistenze, non era riuscito di ingraziarsi la fanciulla. Rimessosi su a sedere con
la schiena contro la spalliera del letto, Giulio ha chiesto ancora: — Ti è
parso un buon lavoro? — Onesto, per un
esordiente. Lui fece segno che poteva
bastare, e passandosi una mano tra i capelli in disordine, la pregò di andargli
a prendere il registratore nella sua valigia rimasta aperta e ancora intatta ai
piedi dell'armadio. Così, frase dopo frase, con la donna che gli infondeva
coraggio non appena un colpo di tosse lo obbligava a ricominciare, Giulio poté
imbastire il suo primo minuto di cronaca. Il malato trascorreva
molto del suo tempo a contemplare il soffitto giallognolo ritagliato nella sua
cornice bianca di stucco, le quattro stampe allineate sulla parete di destra
inneggianti ai monumenti-emblema della città, il salottino con il televisore
che vi troneggiava al centro. Chissà per quanti giorni ancora sarebbe stato
questo il solo panorama a far da sfondo
alle sue angosce: non i mondi sconfinati che il cinema aveva finora regalato
alla sua anima; e nemmeno le sensazioni che possono nascere dai minimi spostamenti
in città; bensì quella permanenza obbligata in un ambiente idoneo di norma al
solo pernottare. II verdetto del medico, che sull'uscio aveva incrociato Adele
con la staffetta in mano da recare ai tecnici dell'emittenza, suonava come una
condanna: una settimana di assoluto riposo, e una terapia a base di potenti
antibiotici. Non avendo null'altro a
cui badare, Giulio avrebbe atteso il vitto proprio come si conviene a un
degente; Finché, giunta l'ora in cui fuori cominciava a calare il buio, sarebbe
riapparsa Adele, come in uno di quegli appuntamenti serali tra innamorati che
riducono la notte e il giorno che li precedono a una sterile anticamera. Aspettarla gli metteva
addosso sempre più la frenesia dell'amante, quale appunto egli si sentiva per
quel desiderio di intimità che fa percepire il vincolo dell'amicizia come un
recinto troppo scarno. Perciò, non appena la udiva battere all'uscio e
introdurre la chiave, esultava di una gioia che a trattenerla gli faceva più
male dell'attesa stessa. Che Adele avesse familiarizzato
con lambiente, si vedeva dal fatto che sparpagliava amabilmente le sue cose
intorno alla poltrona, sulla quale proprio in quel momento si era lasciata
andare con un bel sospiro. — Ti trovo già un po meglio — osservò; e subito volle sapere della
diagnosi. Giulio sollevò tutte due
le mani, tenendo tre dita della sinistra ripiegate; poi premette una capsula
dal blister e, gli occhi bassi e tristi, finse di ingerirla con un sorso
d'acqua. Tutti e due scoppiarono a
ridere. Poi lei, sbirciando il suo orologio da polso, ridiventò seria. — Sulla
durata della convalescenza e la terapia prevista, mi sembra non vi sia granché
da aggiungere. Vogliamo passare ad altro? — E, senza attendere un cenno di
assenso, gli allungò le foto. Giulio, che in quei giorni
aveva vissuto ogni atto concernente loro due dentro un tempo assoluto, provava
una certa avversione a ritenere la visita di Adele come un episodio subordinato
a una certa durata. E tuttavia si pentì subito di questo pensiero, considerati i
tanti impegni che la donna per causa sua era costretta a protrarre fino a tarda
sera. Così, senza accorgersene, sfocando con la vista il ritratto del
rapinatore dal viso coperto e il mitra spianato in corsa verso un furgone
blindato, sollevò sulla donna uno sguardo colpevole. — Trovo anchio poco
adatto un film del genere — reagì lei,
fraintendendo. — Si vede che questa volta i francesi non avevano niente di
meglio da offrire. Giulio, abbassando gli
occhi sulla testa inguainata di un altro complice, disse: — Un novello
Fantomas? — Non proprio — fece lei. — È la storia di un aspirante scrittore
deciso a seguire a tutti i costi la propria vocazione, ma
non trovando di che sostenersi, convince due artisti squattrinati come lui a
svaligiare insieme una banca. Al solo scopo di garantirsi una rendita per
realizzare le proprie aspirazioni. — Carina l'idea — sorrise
Giulio. — E ci riescono davvero? — chiese, rimescolando le foto come fossero
carte da gioco. — Purtroppo, no. Ma la prigione
li sottrae alle preoccupazioni materiale, e così per qualche anno ognuno di
loro può dedicarsi interamente alla propria arte. — In fondo non sono stati
poi così scalognati — commentò lui, ironico. — Un bel paradosso sulla libertà.
Chissà, magari sarebbe piaciuto a Voltaire. — Può darsi. Ma non deve
aver convinto i membri della giuria, perché uno alla volta sono sgusciati via
dalla sala. — Si vede che avevano
poca voglia di divertirsi — concluse Giulio, chiedendosi se un film del genere
ora come ora non sarebbe stato per lui un
ottimo passatempo. La febbre adesso era
quasi del tutto rientrata, con qualche piccola impennata solo nelle ore
pomeridiane. Ma una grande debolezza aveva invaso
Giulio nel fisico, e la tosse, benché diradata, pareva ad ogni accesso
sconquassargli il petto. I dolori alla testa e al collo erano però cessati, e
in generale respirava meglio. Il dottore gli aveva ingiunto di non lasciare
ancora per nessuna ragione il letto, e di diffidare delle prime avvisaglie di
una guarigione: occorreva ristabilirsi bene, ed essendo il rischio di una
ricaduta assai alto, in caso di insuccesso sarebbe stato necessario portare la
dose degli antibiotici al doppio di quella già assunta. Con un ampio sbadiglio
Giulio si stirò tutto e accostò a una guancia, dopo averlo sottratto al comodino,
un piccolo orsetto chiaro di peluche, dono di Adele. Lo tenne così, mentre
rimuginava la storia appresa da uno degli opuscoli recatigli la sera prima. Gli
tornò in mente la figura della donna agente, che dopo aver fatto di tutto per
non cedere ai propri sentimenti, li sacrifica salvando da morte sicura
lintrepido avversario del regime da lei ricattato e denunciato. Gli parve di
vedere, con gli occhi dellimmaginazione, luomo ammattito per le sevizie e finito
suicida dopo essere stato volgarmente respinto dalla figlia di lei, cui crede
di dovere tutto l'amore riservato all'altra. Una tragedia, quella, scaturita
dal trionfo del pentimento e della compassione sul cieco odio di bandiera, e
accompagnata dalla lucida scoperta che i sentimenti, quelli veri, dipendono dalle
azioni stesse, mai e poi mai da una idea, fosse pure la più giusta. Dunque era
stato lincontro reale tra due individui, un incontro avvenuto in condizioni estreme,
e non un'immagine preconcetta della persona, a conferire dignità e senso a
quella relazione. In questi termini Giulio riconsiderava
la sua amicizia con Adele: unamicizia basata sui fatti concreti e sul
significato che essi racchiudevano per ciascuno di essi. Da questo barlume di
intesa che vi era stato in quei giorni, se erano sbocciati dei sentimenti, in
maniera del tutto naturale avrebbe potuto prendere piede un legame. Adele aveva
del resto offerto prove ineguagliabili; ma
lui che cosa schierava sul tavolo per farsi voler bene? Quel pomeriggio, più
monotono del solito, si fece interminabile quando apprese da Adele che era
impegnata a rincorrere un regista sfuggente, avaro di interviste, intervenuto
al festival dopo varie disdette. E che a missione conclusa, le sarebbe rimasto
appena il tempo di venire a ritirare il nastro con la voce di Giulio da inviare all'emittente italiana. AI telefono luomo non lasciò trapelare la benché minima ombra di
dispiacere; anzi, comprensivo fino all'esagerazione, acconsentì senza indugiare
alcuno alle sue raccomandazioni di sempre: cioè di non sforzare la voce, di
limitarsi alla sintesi riportata nell'opuscolo che lei avrebbe fatto pervenire più
tardi alla reception, restando sulle generali; e di concludere con un rapido accenno
agli umori del pubblico, di cui lei stessa lo stava informando. Ma qualche ora dopo, il
faccia a faccia con il registratore, non confortato dalla viva presenza di
Adele, sembrò incutergli soggezione; e per quanto si sforzasse di pronunciare
in maniera accurata ogni sillaba leggendo dai pochi appunti presi, non riusciva
a trovare il tono giusto. Allora si perdeva di coraggio, disprezzandosi, come
era solito fare quando un cambio d'abitudine lo apriva a nuove difficoltà
isolandolo nella sua pigra inerzia. Quando cioè senza mezzi termini passava a
disfare la trama dei suoi trentacinque anni, deplorando un buon terzo di
quell'età, paragonando la consistenza del suo mestiere a un grappolo di sogni
racchiusi nel fascio di luce sospeso tra la cabina e lo schermo: tale cioè da
estinguersi col cessare di quel buio incantato. Ma non era stato proprio quel
buio a fargli sognare i grandi orizzonti della vita, quando ancora si dimenava
negli angusti limiti della provincia? E non aveva forse, a causa di quel buio,
incontrato Lia, la giovane attrice a cui si era unito, nel mestiere come
nell'amore, con la stessa rapidità di un titolo risucchiato nel fondo della
pellicola? Degli anni trascorsi insieme, anni colmi di speranza improntati alla
comune ricerca di un solido avvenire — i buoni voti da lei conseguiti
all'accademia; la prima colonnina che lui ottenne per i film in formato video;
i provini della donna nei teatri di posa, in concomitanza con una orgogliosa
recensione radiofonica che lui aveva approntato per lei; infine il tuffo a
capofitto nel matrimonio, altrettanto fulmineo nellestinguersi — di tutto
quanto a Giulio era rimasto un pugno di mosche. Insieme alla persuasione che
quell atto precipitoso, ispirato a una regola dai più condivisa, non avrebbe
mai potuto soffocare in lui l'atavica protesta che da sempre gli covava dentro:
a Mara, la sua più recente conquista, non era riuscito finora nemmeno di
diventare la sua convivente; le collaborazioni giornalistiche stavano lentamente
riacquistando parte della loro antica libertà. Ma intanto, inchiodato su
quel letto, rimasticava lamara corteccia della solitudine. Avvolto in una vestaglia color
cobalto, dono di Mara, Giulio perimetrava la stanza a passi meditati, la pianta
ancora un tantino incerta sopra quel contatto che reclamava flessibilità e
coordinazione. Un raggio di sole era penetrato nel cortile a denunciarne una
nudità scalfita appena dal rosso dei gerani sui davanzali, da piante
sempreverdi chiuse tra doppie finestre come dentro una serra sicura, dalle
consuete tendine bianche di pizzo trapunte di emblemi inneggianti alla serenità
domestica. Si palpava la seta dei risvolti, e intanto ragionava sulla enorme
dose di impegno che occorre per accostarsi all'intimità di una donna, sullo
sforzo necessario a togliere il velo alla propria. A Mara sentiva di voler
bene, ma in lei troppo forte era laspirazione a fargli compiere il passo
decisivo, malgrado lui a più riprese le avesse ribadito la sua idea in
proposito. Adele invece, benché ignara dei suoi sentimenti, ricambiava con
delle affettuose attenzioni, e persino con dei sacrifici. La sera avanti,
scusandosi per la fretta, gli aveva preso addirittura una mano tra le sue permeandolo
di dolcezza col verde inebriante dei suoi occhi. II festival era ormai
alle ultime battute. Giulio aveva ripreso poco per volta il suo colorito e, a
conclusione di una ennesima giornata di attesa, sedeva in blazer e pantaloni a
coste dirimpetto ad Adele. Ascoltandola, fissava di tanto in tanto il
televisore spento, quasi vedesse scorrere sul piccolo schermo le scene da lei
descritte con cura e dovizia di particolari. Lamica gli raccontava delle
acrobatiche astuzie e delle ridicole millanterie di un postino innamorato,
quando dun tratto lo stupì con un commento che sembrava diretto proprio a lui:
— In fondo gli uomini non hanno mai smesso di considerare la donna come una creatura
della loro fantasia. È il seguito della
costola di Adamo — ribatté Giulio, cercando di incitarla al riso. Ma lei finse
di non cogliere la battuta. Poco più avanti, descrivendo
alcune scene da un film che trattava di rapporto problematico fra genitori e
figli risolto in blanda pacificazione, Adele senza mezzi termini gli chiese: — E
tu, hai mai desiderato un figlio? Giulio cercò un punto
neutro a cui afferrarsi, per non correre il rischio, con una risposta
avventata, di passare per un cinico: — Non contribuire in una maniera,
equivarrebbe in un altra a ridistribuire le nascite sul pianeta. — Potrebbe essere un
argomento — sorrise Adele, sorvolando sulla sua personale opinione. La donna sorseggiava il
suo tè, muta; ma nel modo in cui si offriva allo sguardo di Giulio, uno sguardo
traboccante di quel desiderio inseguito per giorni e notti e che mirava a un
esito felice, pareva attendere che da un momento all'altro egli si avvedesse di
quella sua particolarità, una particolarità imbarazzante e difficile da
rivelare così su due piedi alluomo che le stava di fronte. Giulio invece, dopo
qualche attimo di perplessità, ebbe la netta sensazione di aver inteso. E con
una repentina inversione di rotta, tornò sui propri passi, consapevole del
fatto che non sarebbe stato più necessario spingersi oltre nella speranza
dellamore. Egli comprendeva finalmente che tutto quanto poteva interporsi tra
loro due era una diversa disposizione sessuale. La qual cosa, beninteso, non
intaccava i sentimenti, anzi poteva persino esaltarli. Forte di questa
intuizione, Giulio si aprì in un largo sorriso e, facendo leva con il capo sul
poggiatesta, stiracchiò le estremità in un tremito di piacere. Da come i due
adesso si guardavano, pareva questo il coronamento felice della loro intesa. — Ho deciso che domani verrò
anchio al galà di addio. Credo di essere ormai abbastanza in forze da potervi
partecipare — disse Giulio, più disinvolto che mai. — Sarai tu il mio
cavaliere? — domandò Adele, dolce e ironica. — Sì, il tuo cavaliere e
il tuo paladino — fece Giulio, tutto impettito. — E sollevandosi dalle
rispettive poltrone, si presero cauti tra le braccia come per una prova
generale. Giulio aveva insistito
per andare a prendere Adele al suo albergo. La trovò che ancora girava per la
stanza inguainata in una tutina nera aderente e scollata, da cui risaltavano le
flessuosità di quel corpo bello e un po' infantile. La durata di un attimo, e
Adele vi calzò sopra una camicia viola e un cravattino bianco, dei pantaloni a
righe e un tight nero. Appena messo piede
nellingresso della sala del maestoso albergo dove la festa era appena
iniziata, Giulio riconobbe i volti degli artisti dalle foto mostrategli
dallamica durante la degenza. Con Adele a braccetto, cominciò a farsi largo
tra lampi e riflettori, oltrepassando i ridottissimi studi televisivi
approntati nei corridoi e ai quattro angoli del salone gremito di invitati. I
due procedevano cauti, mano nella mano nei guadi più difficili. Sembravano
paghi di se stessi e indifferenti verso tutta quella folla in fibrillazione – soprattutto
verso i loro colleghi, dai quali giungevano sguardi colmi di sorpresa. Non
smettevano più di farsi confidenze, lasciando a tutti gli altri i commenti
mondani. Al sontuoso buffet, dopo la sua lunga astinenza, Giulio ebbe modo di
gustare ogni genere di pietanze. E appena diedero inizio alle danze, i due mossero
verso la pista per ballare. Là, nel bel mezzo di un walzer, Giulio si accorse
di non essere il solo a cercare con gli occhi ad ogni nuovo giro una di quelle
attraenti fanciulle da eleggersi a miss alla fine della serata. Sentendosi così
spudoratamente scoperta, Adele fece finta di rimanere per un attimo interdetta;
ma poi, con una smorfia deliziosa, afferrò tra le mani la nuca del suo
cavaliere e, attirandolo a sé, accostò le labbra alle sue.
A Giulio quel bacio parve
ineguagliabile. E soprattutto gli comunicò una sensazione di libertà mai
conosciuta prima. Stretti in un abbraccio, con le guance a sfiorarsi, i due
seguitavano a volare leggeri sulle note prolungate di quel walzer. Un volo
senza mèta, il loro, maestoso e irresistibile; e assai distante da quello che
li attendeva l'indomani, e che li avrebbe restituiti, con la primavera ormai
alle porte, alle loro rispettive vite.
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