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Almodovar in do minore

di Federico Ferrone
  Penelope Cruz
Data di pubblicazione su web 14/05/2009  

I veri fan si vedono dalle opere minori. Vale come regola generale: quale pubblico è più devoto e maniacale di quello dei b-movies? Ma vale ancor di più per i fan incondizionati di un determinato regista. Visto che parliamo di Almodóvar, quale dei suoi ammiratori baratterebbe mai il kitsch carnale di Matador e Legami per i più patinati Tutto su mia madre e Volver, film dal tenore tragico probabilmente più profondo ma forse un tantino troppo "costruiti".

Come film minore verrà forse ricordato (le critiche spagnole sono state abbastanza cattive) Los abrazos rotos, melodramma intimo, apparentemente sotto le righe, sulla forza insostenibile del passato. Protagonista è Mateo Blanco (Lluìs Homar, attore di teatro catalano già visto in La mala educaciòn), affascinante ex regista divenuto cieco e convertitosi al mestiere di sceneggiatore con lo pseudonimo di Harry Caine, la cui vita scorre tranquilla grazie alle cure della ex segretaria di produzione Judith (Blanca Portillo, già in Volver) e del figlio di quest'ultima, Diego. Come sempre nei film del regista mancego, la normalità non può che essere apparente: generalmente il surreale si insinua nelle storie quotidiane, ciascuno ha segreti inconfessabili e il melodramma diventa la misura del mondo. Così, anche stavolta, l'armonia del placido terzetto si rompe presto, quando Diego viene ricoverato per un malore in discoteca e, quasi contemporaneamente, un misterioso personaggio minaccia Harry di rievocare alcuni terribili fantasmi del suo passato. È allora che quest'ultimo decide di raccontare a Diego la sua storia e soprattutto quella della sua relazione clandestina con Lena (Penelope Cruz), ex segretaria dal passato torbido e sposata con un ricchissimo industriale. La donna era stata scelta da Harry come protagonista di Chicas y maletas, il film iniziato quindici anni primi e mai terminato a causa dell'incidente in cui ella morì ed egli divenne cieco. È quindi attraverso un flashback che il film ricostruisce le storie di gelosia, amore e ossessione che uniscono il presente e il passato dei personaggi.


Non è un film scanzonato Los abrazos rotos ed è significativa la scelta di costruire l'intreccio intorno al ricordo di un set cinematografico. Più che mai il cinema sembra per Almodóvar il luogo dove si ricrea, soprattutto in forma di melodramma tutta la complessità della vita. Il cinema, non a caso, si contrappone alla cecità del protagonista, che non è solo handicap fisico ma anche scelta volontaria di obliterare il passato. È sul set che Lena si libera, almeno in maniera illusoria, dalla morsa del marito e trova l'amore di Harry. Ma è sempre nel cinema, attraverso le immagini voyeuristiche e un po'squallide del backstage (viene in mente Kika- un corpo in prestito), che suo marito scopre il tradimento e che precipita, più o meno volontariamente, la sua sorte. Anche se il finale riserva una sorpresa, in parte consolatoria, che restituisce alla settima arte anche la sua funzione catartica.

La cinefilia emerge così, nuovamente, come uno dei tratti principali del regista, con riferimenti al noir (una delle sottotracce della vicenda di Lena e Harry, spiata dal figlio del marito per ordine di quest'ultimo), a Douglas Sirk e al Rossellini di Viaggio in Italia. A essi si accompagnano i travestimenti di Penelope Cruz che il regista si diverte, non senza malinconia, a sovrapporre ai volti Audrey Hepburn e Marilyn, facendone un'eroina per metà femme fatale e per metà donna dalla volontà d'acciaio (come in Volver, dove ricordava Anna Magnani).


A proposito di cinema nel cinema e di opere "minori" di grandi registi, ci è venuto da pensare a Il caimano, che ad alcuni ricordò Sogni d'oro per il modo in cui Moretti si divertiva a inventare film nel film: La mamma di Freud di Michele Apicella da una parte e Mocassini assassini di Bruno Bonomo- Silvio Orlando. Chicas e maletas è una evidente citazione di Donne sull'orlo di una crisi di nervi: oltre a un cameo di Rossy De Palma, Almodóvar si diverte a far ripetere a Penelope Cruz la celebre scena in cui Carmen Maura tagliava pomodori per preparare un gaspacho avvelenato, una delle vette più alte dell'eros-thanatos di cui è da sempre impregnato suo cinema.

Almodóvar si auto-cita e, come sempre in questi casi, divide il pubblico: chi lo ama ancor di più, chi lo odia in maniera viscerale e chi rimpiange il suo passato disprezzandone l'imborghesimento. Per essere un film minore Los abrazos rotos non ha certo la vitalità e l'originalità che gli permetteranno di diventare un cult: è un'opera stranamente intima, probabilmente interlocutoria, dedicata alla riflessione sui passati possibili, le occasioni perdute e la possibilità di riscrivere copioni che si credevano chiusi. In fondo non è cosa da poco. E se fosse un film più importante di quanto sembri a prima vista?

 

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