Massimo Maraviglia, allievo di Luca Ronconi e Aldo Trionfo, diplomatosi in regia allAccademia dArte Drammatica Silvio DAmico, ritorna al teatro dopo ventanni con lo spettacolo Puccetto e Olopierno. Questo viene da lui presentato con «una possibile sinossi» per evidenziare la scrittura antiteatrale del testo, costruito non seguendo una trama, ma assemblando una serie di massime e teorie prettamente filosofico-metafisiche. Loperazione è sicuramente dettata dallesperienza di insegnante di filosofia a cui lautore si è dedicato dal 1990.
Giovanni Ascione in una scena dello spettacolo
Non vi è storia, dunque. Solo lincontro di due figure, una limmagine capovolta dellaltra: Olopierno, “lorco cattivo” ormai malato e malandato, è il riflesso fallimentare della categoria “orchi” per cui la sua malvagità, tuttaltro che inquietante, desta un sentimento di commiserazione; Puccetto è linnocenza e la spontaneità infantile, vivace e irrequieto (quasi ipercinetico), curioso osservatore e imitatore del suo “padrone-formatore”, apprendista di una probabile arte magica. In unavvincente scenografia (di Nicola Fiore) da fiaba grottesca i due personaggi danno sfogo ad un fluire di parole (per lo più in un linguaggio semi-arcaico) mentre si avvicina lora della morte dellorco. Definita “antifavola”, quella di Puccetto e Olopierno non ha un epilogo né lieto né tragico, vuole dimostrare come le favole abbiano una morale estrinseca che ognuno può dedurre secondo la propria interpretazione, cercando quel messaggio-guida di cui ha bisogno. È unulteriore riflessione sulla mancanza di senso (linguistico, cosmico ed esistenziale) teorizzata dai maggiori filosofi del Novecento.
Giovanni Ascione, Giuseppe Cerrone e Marina Macca in una scena
Entusiasma linterpretazione di Giovanni Ascione in un Puccetto esuberante, tenero e ingenuo, padrone della scena, attento nelluso della vocalità e della gestualità del corpo. Bravo anche Giuseppe Cerrone, nei panni di un esagitato Olopierno che si aggrappa disperatamente alle parole vuote di significato per cercare di dar senso alla propria insulsa esistenza che sta volgendo al termine. Li accompagnano le voci cantanti di Leila DAngelo e Giuseppe De Liso e il quartetto darchi Giovanni Borrelli (violino), Leopoldo Fontanarosa (violino), Gianfranco Conzo (viola), Antonio Avitabile (violoncello) sulle musiche originali di Canio Fidanza (clavicembalo, fisarmonica, pianoforte). Lo spettacolo, frutto di uno studio molto ricercato, è costruito con una minuziosa attenzione per i dettagli, dalla direzione degli attori alluso giocoso e mai ingiustificato di una moltitudine di oggetti.
Marina Macca, Giovanni Ascione e Giuseppe Cerrone in una scena
Pur presentando unalta qualità e professionalità artistica nellallestimento, rimane innegabile la sua difficile comprensione. Il linguaggio farraginoso, i tanti simbolismi e rimandi filosofici lasciano lo spettatore in balia delle proprie suggestioni personali privando il lavoro di un elemento fondamentale del meccanismo teatrale: la comunicazione.
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