«Lasciai Troia, ossia la Bolivia, attraversai Perù e Ecuador e in Colombia raccolsi il caffè». Si presenta così Ulisse nello spettacolo che César Brie e il suo Teatro de los Andes hanno dedicato al secondo poema omerico, cercando di traslare nella nostra contemporaneità il lungo viaggio delleroe greco. La loro Odissea – che completa il dittico inaugurato nel 2000 con la messinscena di Iliade – è ricca di richiami a oggetti e situazioni di oggi. Divinità che parlano al cellulare, Penelope che cita automobili e fornelli, ironiche allusioni a personaggi e opere della storia recente – da Papa Woityla a Tom Hanks – che fanno da contrappeso alle drammatiche narrazioni delle odissee moderne. Il viaggio di Ulisse è paragonato ai percorsi dei nostri esuli contemporanei e i bambini uccisi a Troia sono assimilati ai troppi inermi che hanno perso la vita in Bosnia, in Iraq, in Rwanda o nel Vietnam. Unanaloga assimilazione fra eroi di ieri e profughi di oggi era stata proposta nel 2003 dal Théâtre du Soleil, che con Le dernier caravansérail (Odysées) aveva ripreso il titolo omerico per concentrarsi sulle migrazioni moderne. Ma se per il gruppo diretto da Ariane Mnouchkine del poema greco non restava che il nome, César Brie sceglie ora di conservarne fedelmente la struttura narrativa.
Alice Guimaraes interpreta Afrodite
Sono molti, forse troppi, gli episodi che trovano posto nello spettacolo teatrale, ma i personaggi si spogliano delle loro caratteristiche extra-ordinarie per mostrarsi in tutta la loro umana debolezza. Se il primo verso del testo greco parla del «multiforme ingegno» di Ulisse, per il Teatro de los Andes lOdissea si apre con «Calipso. Le sue gambe…». Il protagonista si fa in primo luogo amante, e le sue più alte virtù cedono il passo a sentimenti terreni. La distanza che lo separa dagli spettatori si assottiglia, ma una parte del suo fascino finisce, inevitabilmente, per svanire nel nulla. Gonzalo Callejas interpreta con naturalezza le tante facce di Ulisse, alternando la passione dei suoi rapporti acrobatici con Calipso – la brava Karen May Lisondra – e con una Nausicaa sui trampoli – Viola Vento – alla durezza della strage dei Proci. E nei panni di Menelao sa utilizzare un costume volgare per trasformarsi in un bruto irruento e spavaldo. A Callejas spetta anche il merito di aver concepito una scenografia di efficace semplicità, forse uno dei tratti più riusciti dello spettacolo. È costituita da canne appese alla graticcia, che vengono spostate in tutte le direzioni creando ogni genere di spazi: stanze, spiagge o boschi.
Mia Fabbri, Ulises Palacio, Gonzalo Callejas
Un dispositivo fortemente evocativo che introduce un primo richiamo alla vegetazione dellAmerica del Sud. Gli altri si ritrovano nelle musiche di Pablo Brie – eseguite dal vivo con fisarmonica, violino e chitarra –, nei costumi, nei personaggi. Che nascono dalle esperienze personali degli attori, dai loro ricordi, dal loro vissuto. Molti hanno conosciuto le sofferenze della guerra e dellesilio: forse per questo in Odissea si ritrovano episodi di inaudita violenza spesso trascurati dalla tradizione. Come la barbara esecuzione, a Itaca, delle ancelle che hanno tradito Ulisse concedendosi ai Proci. Lassurdità della scena è amplificata dal monologo di Melanto (Viola Vento): come la dantesca Francesca da Rimini, ripercorre le giovanili passioni che lhanno spinta, ingenuamente, al tradimento.
Ne scaturisce uno spettacolo ricco di suggestioni e di coloratissime immagini. Il bene amalgamato gruppo di attori, in gran parte sudamericani, sa parlare di sé, delle proprie vicissitudini private e delle difficoltà politiche della Bolivia. Nascono toccanti scene di denuncia e momenti di esilarante comicità. Peccato che sia mancato il coraggio di staccarsi più decisamente dal poema originale, che con i suoi tanti episodi lascia poco spazio alle sciagure contemporanee. Zeus al telefono è unimmagine divertente e funzionale, la stessa efficacia non si trova quando si parla di gommoni e profughi del mondo di oggi.
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