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Storie di diversità e di sconfitta

di Mariagiovanna Grifi
  Danio Manfredini nella scena finale
Data di pubblicazione su web 16/03/2009  

Un vero artista Danio Manfredini, come se ne vedono pochi. Autore, attore e regista con trent’anni di attività teatrale; dopo l’esperienza con l’argentino César Brie, ha continuato a lavorare nell’ambito dei centri sociali facendo del suo teatro una forma di comunicazione e denuncia di quella parte dell’umanità che vive “ai margini” e che soffre nel suo isolamento. Le sue opere ci raccontano con delicatezza e sofferenza, ma anche con un po’ di ironia, storie di diversità e di sconfitta. Vincitore del Premio Ubu nel 1989 con Miracolo della rosa e nel 1999 con Al presente, l’animus del suo impegno artistico e sociale è rinvenibile in Il sacro segno dei mostri del 2007, spettacolo che apre una finestra da cui spiare la realtà dei malati di mente, un mondo ben conosciuto dall’attore che da anni insegna pittura in un ospedale psichiatrico di Milano. Spesso l’autore prende spunto proprio dalla pittura, arte che meglio di qualsiasi altra traduce la sensazione in immagine, ed infatti i suoi spettacoli mostrano quelle che lui stesso chiama “visioni interne”: sono personaggi la cui realtà interiore “vive” in scena. Lo spettatore non può fare altro che com-partecipare alla loro solitudine, alla loro condizione di disagio ed emarginazione provando una sorta di umana impotenza di fronte al loro dolore.


Danio Manfredini nel primo monologo
di Tre studi per una crocifissione
 

Tre studi per una crocifissione è uno spettacolo su cui lavora dal 1992, tra rielaborazioni e perfezionamenti, ispirato all’omonimo quadro del pittore inglese Francis Bacon, che propone tre immagini di corpi sofferenti con un’analisi lucida e spietata della condizione umana. Manfredini ci mostra tre soggetti marginali accomunati dalla loro solitudine, dal loro stato di abbandono e di degrado, dal loro bisogno di affetto e di contatto con l’altro, dall’impossibilità e contemporaneamente dalla vana speranza che ciò possa ancora accadere. La mutilazione, frequente nelle figure dei dipinti di Bacon, trova la giusta espressione nella fisicità “precaria” dei personaggi interpretati dall’attore, una instabilità dovuta ad uno stato di degenerazione soprattutto psichico-emotiva.

Il primo monologo è il frutto dell’esperienza vissuta dallo stesso autore a contatto con i pazienti dei centri in cui opera: grande attenzione viene rivolta alla postura, gestualità e modalità di parlare tipica di questo malato, come anche ai suoi “viaggi mentali” sconclusionati e spesso visionari. Interessante notare come il personaggio alterni alle sue divagazioni, che esprimono ossessioni e paure, discorsi in versi e citazioni colte. Anche nei momenti di immobilità e silenzio Manfredini riesce a comunicare la sua desolante condizione dimostrando una innegabile capacità attoriale, ma anche una grande sensibilità. Il secondo soggetto racconta di un transessuale ed è ispirato ad un personaggio di Un anno con tredici lune di Rainer Werner Fassbinder: anche questo, allo stremo delle forze, fa i conti con una vita di maltrattamenti, separazioni e assenze. L’attore fa sentire gli spettatori come intrusi, ascoltatori di un dramma troppo intimo e personale che possono guardare solo da molto lontano. L’ultimo pezzo è tratto dal monologo di Bernard-Marie Koltès La notte poco prima della foresta: qui un emigrato, esausto per il suo vagabondare, è semplicemente alla ricerca di un interlocutore al quale parlare della sua rabbia, della sua sofferenza e della sua difficoltà ad integrarsi. Emozionante e comunicativo il movimento scenico che l’attore compie sulla musica di Bach all’inizio e alla fine del pezzo.

Danio Manfredini nel monologo di Bernard-Marie Koltès
La notte poco prima della foresta
 

Degno di nota è il modo in cui Manfredini propone i cambi di scena e di personaggio. È lui stesso a porsi in un angolo del palco, illuminato da un taglio di luce rossa proveniente dalla quinta; accompagnato da un delicato sottofondo musicale, si spoglia letteralmente del personaggio per “vestirne” lentamente un altro, in una forma rituale. La scelta è tra le più semplici possibili, eppure colpisce la forte presenza scenica dell’attore: il pubblico rimane in silenzio a guardarlo come ipnotizzato.

Un lavoro decisamente completo sia dal punto di vista registico che interpretativo, perfettamente misurato nei tempi e nelle costruzioni sceniche. Puntuale e preciso, coinvolge e sconvolge emotivamente il pubblico dall’inizio alla fine in una continuità di tensione scenica.




Tre studi per una crocifissione
cast cast & credits
 



Danio Manfredini nei panni di Elvira
da Un anno con tredici lune di Rainer Werner Fassbinder

 
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