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Nel tribunale dell段nnocenza

di Carmelo Alberti
  Una scena dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 13/03/2009  

In questi anni il Teatro del Lemming si è guadagnata l’attenzione di tanti estimatori, per i meriti di una ricerca scenica originale che, fin dall’inizio, per il gruppo di Rovigo pone al centro il legame con lo spettatore; nei loro spettacoli ogni individuo è invitato a partecipare direttamente alla rappresentazione, è sollecitato a decidere responsabilmente come mettersi in gioco. Sono passati così da spettacoli per un solo o per pochi destinatari alla coralità di Antigone, la nuova produzione presentata al 40ー Festival Internazionale del Teatro della Biennale nello spazio delle Fondamenta Nuove di Venezia. Il pubblico, che assume la funzione del coro greco, è sollecitato in prima persona da Massimo Munaro, artefice del testo e della messinscena, a schierarsi o con lui, come voce di Creonte e tutore delle intangibili leggi della polis, o con Antigone, che sfidando l’editto ha inumato il corpo del fratello Polinice. Sono tre le attrici-sacerdotesse che recitano la parte della fanciulla pietosa, pronunciando frasi sibilline e sferzanti in una lingua mediterranea che mescola greco, arabo, slavo e altre sonorità arcaiche.


Una scena dello spettacolo
Una scena dello spettacolo



Un gruppo ridotto di presenti ha deciso di seguire le donne sul palcoscenico, indossando una tunica bianca e togliendosi i calzari. Chi scrive ha scelto di non rimanere seduto alla stregua di un osservatore neutrale; così ha preso parte al dramma di Antigone, ha sentito il contatto degli altri sul suo corpo, si è terso il viso e le mani con l’acqua purificatrice, ha visto penzolare la testa mozza, sospesa in alto, e il corpo squarciato e incenerito del fratello collocato sopra un sudario, ha pregato con le officianti ripetendo parole oscure, ha condiviso la colpa di dar sepoltura al proprio congiunto.

Dalla platea gli altri osservavano i riti, ascoltavano l’elogio dell’ordine detto da Creonte, assistevano all’aspro litigio fra costui e il figlio Emone allineato per amore dalla parte di Antigone, vedevano morire la pietosa sorella, avvolta in un sudario di sangue e sostenuta dal coro benevolo, e suicidarsi lo stesso Emone dopo aver lanciato un getto d’acqua su di sé e contro i presenti. Poi, un sipario ha separato i due ambiti: sopra la scena i coreuti e le Antigoni si sono sdraiati a occhi chiusi sotto una coltre tombale per meditare sulla fine dell’innocenza, mentre in sala sul muro del sepolcro scorrevano immagini di un altrove, simili a frammenti di una natura.

Il compito di sostenere le fasi del giudizio era affidato a un nucleo di valenti interpreti, che al contatto fisico svelavano un’altissima tensione muscolare e una lodevole lucidità esecutiva. Fiorella Tommasini, Chiara Elisa Rossini e Diana Ferrantini sono le eterne Antigoni, alle quali è negata dal testo l’affermazione delle loro ragioni, mentre esaltavano con i gesti e con lo sguardo la loro adesione alla supremazia degli affetti. Mario Previato, Alessio Papa e Massimo Munaro hanno definito, invece, le parti maschili che si sono articolate in vario modo dinanzi ad un atto di ribellione indecifrabile. Quando l’assise è stata sciolta, ciascuno dei partecipanti, uscendo in silenzio, ha potuto elaborare un’interpretazione soggettiva in merito ad un’esperienza condivisa. In tal modo a distanza di secoli il mistero di Antigone continua a inquietare la coscienza degli uomini.






Antigone
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