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Le ferite di un paese in guerra

di Sara Mamone
  Woody Harrelson in una scena del film
Data di pubblicazione su web 11/02/2009  

Chi è, o meglio, chi sono, i messaggeri del bel film di Oren Moverman, nato in Israele ma sceneggiatore a New York e qui alla sua prima riuscita prova? Sono soldati dell’esercito americano, già impiegati in operazioni militari sul campo e poi assegnati ad un delicatissimo compito in patria: il Casuality Notification Office, ufficio dalla sigla innocentemente burocratica. In realtà l’ufficio più doloroso tra quelli istituiti per dare forma e prassi ai più crudeli danni collaterali della Guerra e cioè la morte dei soldati americani che i due ufficiali devono notificare ai parenti. Nella logica efficientista dell’esercito non si tratta di un impiego di élite, infatti i due sono in qualche misura sollevati dai più “nobili” compiti operativi: l’anziano per ragioni di età e il giovane Willie perché l’impresa in Iraq da cui è reduce si è conclusa anzitempo con ferite che lo hanno costretto a vagare da un ospedale all’altro cercando di riparare il suo corpo, essendo l’anima già frantumata dal tradimento della compagna Ellie che non lo ha certo aspettato.

Ben Foster e Woody Harrelson in una scena del film
Ben Foster e Woody Harrelson in una scena del film


Potrebbe trattarsi di un’abile variazione sull’ (hainoi!) inesauribile tema della guerra e invece il film riesce ad essere qualcosa di più, a spiegare come le ferite inflitte da un paese impegnato in una guerra aggressiva che gli ha fatto perdere prestigio e credibilità non sono solo esterne, riesce a mostrare come a lungo il paese dovrà vedersela anche con le sue ferite interne, confermando come nelle guerre non ci sono vincitori o vittime ma sostanzialmente solo le seconde. Perché al di là dei protocolli, pur sofisticatissimi, elaborati da strateghi sempre più fallimentari (vengono imposte le distanze alle quali parcheggiare la macchina degli ufficiali dalla casa dei parenti della vittima, i tempi di permanenza nella casa, la formula da pronunciare che deve essere completata anche di fronte ad un infarto, il tempo di attesa del promesso sostegno psicologico e poi via, avanti un altro) sul campo non restano solo i morti in battaglia ma mogli, figli, madri, padri. Che vediamo nella loro quotidianità, nei loro tic, mestieri, miserie, nelle loro attese, già rovinati dai presentimenti.
 

woody Harrelson
Woody Harrelson


Altro grande merito è quello di una sceneggiatura asciutta e ben concatenata che evita il rischio del film ad episodi ed inserisce con molta misura, tra le tante storie abbozzate che traspaiono dalle porte semiaperte (magnifica e straziante la rabbia disperata e poi rassegnata di Steve Buscemi), anche una pudica e impossibile storia (d’amore? di disorientamento? o, forse, addirittura di speranza?) tra una giovane vedova e il protagonista che, violando ogni protocollo (i parenti delle vittime non devono essere toccati, in caso di malore si chiami un’ambulanza) si innamora di lei e, forse, potrà un giorno, con lei, ritornare a vivere. Oltre che all’asciuttezza delle immagini un film come questo può riuscire solo con interpreti calibrati e affiatati: Ben Foster, Woody Harrelson e la goffa, delicata e smarrita Samantha Morton.





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Ben Foster e Woody Harrelson in una scena del film
Ben Foster e Woody Harrelson
in una scena del film




 
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