Per millenni la rappresentazione "documentaria" di città, stili di vita, eventi storici, è stata affidata al disegno. Fino a quando emulsioni più o meno sensibili alla luce hanno cominciato a "riprodurre" in modo chimico uno spettro del reale (giungendo a quel paradosso percettivo che è il cinema) lunico documentario iconico possibile è stata la pittura. Ari Folman sceglie di andare proprio in questa direzione e di restituire al disegno la sua forza di documento storico capace di ricostruire fatti, di riflettere e far riflettere su passaggi cruciali della storia, realizzando una docufiction animata sulla guerra tra Israele e Libano del 1982. Valzer con Bashir è la ricostruzione di una memoria perduta, di un rimosso personale che si scopre essere collettivo. È lo stesso regista il protagonista del film che, militare ai tempi di quella guerra e "spettatore" della strage del campo di Sabra e Shatila, improvvisamente avverte lesigenza di "ritrovare" cosa sia accaduto in quei giorni tragici, iniziando così unindagine che lo porterà a ricercare tutti coloro che con lui hanno condiviso quei terribili momenti.
Ari Folman non è un autore di cartoni animati, è un documentarista, regista e sceneggiatore (tra i più noti in Israele), che, fino ad ora, aveva fatto ricorso al disegno animato solo sporadicamente, per di più in modo didascalico; qui, volendo ricostruire un ricordo legato ad avvenimenti storici di fondamentale importanza, decide di estremizzare questa idea scegliendo la tecnica del disegno animato, che, per certi versi, rappresenta il punto più alto della costruzione intenzionale dellimmagine. Esplicitando lartificio Folman si mette così a riparo da qualsiasi accusa di manipolazione o di mistificazione che poteva essere fatta ad una fiction, con pretese documentaristiche, girata dal vero. Nel disegno sogni e ricordi si assimilano perfettamente in un gioco di rimandi dagli uni agli altri, che non sembra mai trovare una soluzione. Anche la tecnica usata risulta costantemente in bilico tra lo stile postmoderno di A Scanner Darkly di Richard Linklater e la più classica (se non primitiva) delle animazioni, trovando così una forma piuttosto originale che riesce a coinvolgere lo spettatore nelle vicende narrate. Occhi e bocche sono le parti più "vive" dei personaggi e ne rendono in modo molto efficace lo stato danimo; dalla mobilità e dallintensità, anche cromatica, degli occhi traspare quel senso di vuoto, di smarrimento, di confusione che accomuna tutti gli attori della vicenda, allora come oggi. La lentezza con cui si muovono i personaggi ben riproduce i tempi del lavoro della memoria, dei suoi ritmi di ricostruzione di un vissuto che, sparito dalla memoria, non era più possibile ritenere tale. Questa apparente finalità "privata" dell'indagine, che Folman conduce, rende coerenti con l'impianto narrativo anche le parzialità e le indulgenze storiografiche che il film, inevitabilmente, porta con sé.
Lapporto della colonna sonora è importantissimo e contribuisce in modo decisivo a costruire latmosfera del film: la base ritmica degli spari, il rock dei bombardamenti, la dance della discoteca durante la licenza, fino al "valzer" del soldato Frenken che, da cultore delle arti marziali, riesce a disciplinare armonicamente lennesima sparatoria senza senso. Nel finale larrivo, non atteso né richiesto, delle immagini "sporche" e "vere" dei video girati allapertura del campo di Sabra e Shatila subito dopo la strage, con i morti deformati dalle mutilazioni e dal caldo, non fa altro che rafforzare lidea che Folman non abbia voluto confondere il suo racconto con la documentazione dei fatti e per questo si sia affidato al disegno animato.
A parte qualche psicologismo di troppo (il regista è autore di una serie israeliana che ha ispirato i telefilm psicanalitici di In Treatment della HBO) e qualche passaggio stereotipato evitabile Folman vince la sua scommessa, realizzando unopera che, pur consegnando una visione parziale dei fatti, non lascia indifferenti e che ha il merito di riaprire e di tornare ad interrogarsi su una delle pagine più tragiche della nostra storia recente. È importante che proprio in Israele si producano film come Valzer con Bashir (ma, soprattutto, come quelli di Amos Gitai), poiché un paese costantemente in guerra dalla sua fondazione, non può non riflettere su questa sua assurda situazione e deve poter dimostrare che i governati sono migliori dei loro governanti. Come il giornalista Amos Kennan, che, allindomani della strage narrata nel film scrisse su Yedioth Ahronot (uno dei massimi quotidiani nazionali): "In un sol colpo, signor Begin (il premier israeliano dellepoca), lei ha perduto il milione di bambini ebrei che costituivano tutto il suo bene sulla terra. Il milione di bambini di Auschwitz non è più suo. Li ha venduti senza utile". Parole sacrosante e, purtroppo, ancora troppo attuali.
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