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Lo specchio dell'Italia

di Roberto Fedi
 
Data di pubblicazione su web 29/12/2008  

C’è chi durante le vacanze di Natale rimane a casa; o almeno, come il sottoscritto, non se ne va per venti giorni in uno di quei posti per forzati delle vacanze low cost da filmaccio all’italiana di fine anno. Così ogni tanto sta dentro le mura domestiche. Così ogni tanto accende la televisione. Così sempre la spenge con qualche conato di vomito poco natalizio.

Per esempio oggi pomeriggio, 29 dicembre, il sottoscritto l’ha accesa per qualche minuto su Rai Due, canale pubblico pagato dai cittadini italiani. Dove c’è una strasmissione (non è un errore di battitura) intitolata Italia allo specchio. Fin qui, niente di male. La presenta una di cui non ricordiamo il nome, e neanche vogliamo ricordarcelo, a dire la verità. Diciamo che è bionda. E che a un certo punto ha usato il verbo “incacchiare”. Ci pare che basti.

In questa strasmissione si discute di casi, come dire?, nazionali. Non per niente si chiama Italia allo specchio. Ci sono esperti in studio ed esperti in collegamento. Quando l’abbiamo accesa noi il tema (fondamentale e da paese altamente industrializzato, come chiunque può capire) era “Tra moglie e marito non mettere il dito”. Roba grossa, insomma. Temi scottanti. Argomenti che tutto il mondo ci invidia.

Collegamento con un’esperta che spiega che, insomma, è bene che moglie e marito stiano tranquilli, e che le suocere non mettano né il dito né altro. Per esempio, dice a un certo punto facendo il conto (una specie di decalogo) delle cose che una suocera non deve fare, insomma dei ditoni che non deve mettere: non deve criticare la nuora, quando facciamo il caso non usa bene l’ago nel cucire e altre cose del genere.

Qui siamo, onestamente, rimasti basiti. Avete presente gli choc spazio-temporali? No? Beh, neanche noi. Ma  a sentire una che, allo spirare del 2008, si rivolgeva a un’Italia di suocere che rimproverano le nuore perché non sanno bene usare l’ago e il filo beh, l’abbiamo avuto. Zac! indietro di almeno un cento-centoventi anni, in un paese rurale dove le suocere vivevano con le nuore, si stava davanti al camino, il nonno era il pater familias e i mariti dei mezzi scemi – insomma, più o meno così. E la sera naturalmente che si faceva? ma si cuciva, naturalmente. I calzini sfondati del marito, il bavero della giacca di fustagno del nonno, le mutande dei figliolini e dei maritoni, le canottiere di lana (ruvida, si capisce) dei nipoti con il naso gocciolante (almeno, nelle illustrazioni dell’Ottocento li facevano così). E magari col pievano all’uscio.

Si racconta che, quando nacque la televisione in Italia (1954), agli autori si prescriveva di fare trasmissioni per spettatori che fossero, più o meno, come bambini di 12 anni. Ora, 54 anni dopo, evidentemente nel pomeriggio lo spettatore-tipo si considera una (la suocera) di circa 160 anni, nata quindi intorno al 1848, in un paese di montagna, con la famigliuola sempre riunita intorno al focolare in attesa della Befana.

E se la nuora infila male l’ago, per citare indirettamente la conduttrice bionda di cui sopra: beh, ragazzi, so’ cacchi sua.    







Italia allo specchio

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