La stagione teatrale dello stabile di Napoli, il Mercadante, si apre con Don Giovanni ritorna dalla guerra (1936) di Ödön von Horvàth e la regia di Carlo Cerciello. Lo stile di Ödön von Horvàth misto di tragedia e commedia, di denuncia e disinganno è tradito e svilito nelladattamento teatrale di Carlo Cerciello. Nel corso del Novecento la figura mitica di don Giovanni è stata più volte rielaborata, rivisitata rispetto al modello originario del 1630 di Tirso de Molina. George Bernard Shaw con la commedia Uomo e superuomo (1901-1903) relega don Giovanni nel ruolo di preda che alla fine della storia si rassegna al suo ruolo di riproduttore della specie; Max Frisch in Don Giovanni o lamore per la geometria (1953) immagina un uomo che si sottrae alla donna per amore della geometria, anche se una lettura più sottile, quasi freudiana, ci condurrebbe a pensare alla donna quale ordine geometrico che manca allo stesso don Giovanni; Ödön von Horvàth rappresenta un don Giovanni, prima smarrito e poi redento dalla guerra, che convive con il desiderio di morte.
Una foto dello spettacolo
Ladattamento di Cerciello smarrisce e non convince lo spettatore che lascia la sala ancora prima della fine. Un sipario già aperto conduce lo spettatore nellimmediata rappresentazione, relegando nelloblio le emozioni che accompagnano lo scorrere lento di una disvelata irrealtà. In scena oggetti appesi a delle corde, che compaiono e scompaiono, sollevate dallalto: sulla sinistra due letti, sulla destra un grammofono e un armadio. Al centro della scena in alto, anchesso appeso a delle corde, una didascalia che riecheggia quasi come un monito: «La guerra è finita?». Sospesi a mezzaria tanti cartelli-led, di reminescenza brechtiana, quante sono le scene-quadri, che si illuminano di volta in volta, inutili ripetizioni che stancano. Una recitazione fredda e distaccata non permette agli spettatori di entrare nella storia, nel dramma esistenziale delluomo del Novecento, e di partecipare alla tremenda e funesta notizia della morte della donna amata dal protagonista.
Remo Girone
Nelle vesti di un don Giovanni post-romantico, pentito e redento dagli alti insegnamenti della guerra, Remo Girone, poco convinto e convincente con una recitazione di stampo classico poco affiatato con laccademica recitazione delle attrici. Le donne imprigionate in caricature da varietà sbeffeggiano e ridicolizzano un don Giovanni solitario e nella storia e nella recitazione, con un riso tronfio e isterico. Un don Giovanni svuotato di significato, travestito da belle epoque in una cornice da varietà, si muove a fatica e molto lentamente sulla scena. Le musiche di Paolo Coletta risultano reminescenze delle note di Debussy, di Mozart, di De Simone, inframmezzate a canzoni di varietà come Ciribiribin. Lo spettacolo in molti punti ricalca altri allestimenti, in una scena ricorda gli arboscelli del Nekrosius del Macbeth. La pièce si chiude tra svastiche luminose e scene di cabaret, mentre il pupazzo di neve - don Giovanni viene trasformato in enorme fallo sballottato nelle mani di giovani fanciulle che nelluniforme ricordano la gioventù saltellante hitleriana. Su questo fallo tutto il linguaggio metaforico dellautore è svuotato e dissolto come neve al sole. Una domanda riecheggia nellaere: la guerra “con e nel teatro” è davvero finita? |
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