Ritter, Dene e Voss non sono, come potrebbe sembrare, i nomi dei tre protagonisti della pièce di Thomas Bernhard messa in scena da Piero Maccarinelli. Nel 1984, anno di stesura del dramma, lautore usa per il titolo i nomi dei tre attori della compagnia di Claus Peyman intorno ai quali ha costruito la sua opera, portata al debutto dallo stesso Peyman nel 1986 al Festival di Salisburgo. I tre attori non rappresentano quindi se stessi bensì i tre fratelli austriaci protagonisti della tragicommedia. Lopera necessita di attori che siano in grado di afferrare il pubblico e di trascinarlo nel cuore della commedia attraverso luso spregiudicato della parola. Nel 1986 limpegno fu affidato ai tre attori tedeschi, oggi Maccarinelli ha scelto tre ottimi attori italiani: Massimo Popolizio, Maria Paiato e Manuela Mandracchia.
La crudele, e mirabilmente comica, scrittura di Bernhard ci introduce nella sala da pranzo della ricchissima famiglia austriaca Worringer composta da tre fratelli. I tre – due attrici in un teatro di cui la famiglia possiede la maggioranza azionaria, e il folle fratello Ludwig che si reputa un genio filosofico impegnato nella stesura di una monumentale opera di logica – si ritrovano per una cena in occasione del ritorno del fratello. Ludwig, figura ispirata al matematico e filosofo Wittgenstein, si è infatti volontariamente ritirato a vivere in una casa di cura psichiatrica ed è stato convinto, dalla materna e ossessiva sorella maggiore, a rientrare a casa. La cena svela le dinamiche maniacali sottese al rapporto tra i fratelli. Bernhard plasma le psicologie dei tre personaggi con i temi ancestrali di cui si nutrono gli eroi e le eroine della tragedia greca: le parole degli attori confidano al pubblico il dubbio di passati incesti, di amori tra fratelli e di sudditanze psicologiche mai superate. Su tutto domina limmobilismo: si susseguono solo ondate di parole, nulla succede, non un colpo di scena, non unintrusione di altri personaggi ad alterare lequilibrio tra i tre. Nonostante tutto lattenzione dello spettatore è calamitata dal fluire perfetto di parole che riportano al pubblico il clima di ossessione che si respira in sala da pranzo.
La scena di Carmelo Giannello contribuisce a creare un ambiente oppressivo: il salotto borghese, in stile tedesco tardo ottocento, evoca una casa di cura: quasi una nuova prigione per il fratello, forse peggiore della prima. I rigorosi quadri appesi alle pareti raccontano di una famiglia di antenati pronti ancora a determinare, anche da morti, la vita dei tre fratelli: per liberarsene non basterà a Ludwig, che forse completamente folle non è, appenderli a testa in giù. I vecchi e preziosi mobili, immutati da generazioni nelle stesse posizioni, non riescono ad essere disposti diversamente, quasi che i goffi tentativi di Ludwig di spostarli mettano a rischio lesistenza stessa della famiglia.
Straordinari gli attori che, grazie anche all abile traduzione di Eugenio Bernardi che salva alcuni giochi linguistici comici («il dottor Frege è una fregatura»), riescono a incarnare la comicità tragica dei personaggi. Maria Paiato interpreta la sorella maggiore, attrice lontana dalle scene da quattro anni, appagata dal ruolo di segretaria del fratello e impegnata nella trascrizione del suo trattato di logica (quasi una citazione del rapporto privilegiato tra il genio Dostoievski e la sua moglie-dattilografa) e dà voce ad una donna trascinata fino allossessione dallattrazione per il fratello. La giovane e dotatissima Manuela Mandracchia è la sorella minore dei tre, ha laria malinconica di chi ha sempre respirato laria viziata di un ambiente chiuso e, pur riconoscendo lossessione della sorella maggiore per il fratello, non riesce ad esimersene completamente tentando anchessa un goffo gesto di seduzione nei suoi confronti. Su tutti domina linterpretazione di Massimo Popolizio che ha meritato il premio Eti come migliore attore. Popolizio riesce ad affrontare un ruolo ricco di sfaccettature, dal comico al tragico passando attaverso la follia, restando sorprendentemente se stesso, riconoscibile, nella sua cifra stilistica, come in ogni spettacolo a cui sembra, ogni volta, magicamente adattarsi come un guanto sulla mano. La regia non può che assecondare linterpretazione di questi tre grandi attori.
Maccarinelli sceglie di dare maggior evidenza alla dimensione di infelice interno borghese, comicamente soffocante, lasciando solo intravedere, nellinsofferenza della sorella più giovane, la dura critica che Bernhard fa alla società austriaca che, invece, caratterizza tutte le sue opere. Forse un lavoro in questa direzione avrebbe potuto dare una profondità maggiore allo spettacolo.
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