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Morte (bianca?) a Venezia

di Luigi Nepi
  ThyssenKrupp
Data di pubblicazione su web 06/09/2008  

Alle 1.30 della notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, un’onda di fuoco e olio bollente nel tunnel della linea n. 5 di uno dei nastri ancora produttivi delle Acciaierie Thyssen Krupp di Torino causa una delle più gravi stragi sul lavoro nella storia recente del nostro paese: sette operai moriranno carbonizzati, dopo atroci sofferenze, durate in alcuni casi molti giorni. É intorno a questo tragico evento che Mimmo Calopresti, Pietro Balla e Monica Repetto hanno realizzato due documentari veramente molto belli ed interessanti.

Prima di tutto è bene precisare che siamo di fronte a due opere profondamente diverse tra di loro, come profondamente diversa è la storia di chi le ha realizzate. Se Calopresti è uno degli autori più famosi nel panorama registico italiano (uno dei pochi che oscilla tra documentario e finzione), Pietro Balla e Monica Repetto sono documentaristi ed autori di programmi TV, meno noti al grande pubblico ma non per questo meno meritevoli di considerazione. I due film rappresentano due punti di vista diversi sulla tragedia. Calopresti sceglie di fermarla nella memoria filmando i parenti, gli amici ed i colleghi delle vittime: il loro dolore, i loro ricordi, il loro modo di sopravvivere a quanto accaduto. Balla e Repetto invece iniziano le loro riprese nel marzo 2007, quando, per caso, scelgono l’operaio della Thyssen Carlo Marrapodi, con l’intenzione di raccontare una storia di speranze deluse e precarietà in quella Torino che un tempo fu uno dei poli industriali più importanti d’Europa. La tragedia, qui, interviene a lavori iniziati portando ad un inevitabile ed evidente cambiamento di direzione nel progetto. Insomma, da un lato abbiamo un documentario classico e rigoroso, dall’altro uno più sperimentale e volutamente indisciplinato; da un lato un film strutturato sul ricordo di quanto è accaduto, dall’altro un film dove gli eventi si inseriscono inaspettatamente nella storia raccontata; da un lato un’opera corale, dall’altro un assolo; da un lato un gospel e dall’altro un blues.


<i>La fabbrica dei tedeschi</i> di Mimmo Calopresti
La fabbrica dei tedeschi
di Mimmo Calopresti



Presenti alla mostra in un singolare grindhouse, dove sono stati proiettati in sequenza al prezzo di un solo biglietto, questi due film, pur nelle descritte differenze, risultano complementari ed è proprio vedendoli uno dietro l’altro che si apprezza di più il loro valore. Le due opere si vengono in aiuto reciprocamente, supportandosi nei rispettivi punti di minor forza. La complementarietà non si limita soltanto ai citati fattori macrostrutturali, ma produce soprattutto una forte dilatazione del senso di quanto viene mostrato. Se il film di Calopresti è attraversato dal prevedibile lamento a posteriori di operai e familiari che denunciano l’estrema insicurezza della situazione di lavoro in quelle linee di produzione, tutto questo acquista tutt’altra forza e tutt’altra veemenza, quando, nell’altro film, vediamo le stesse facce di operai che dicono, mesi prima della tragedia, le identiche cose, evidenziando il fatto che l’azienda abbia addirittura omesso di effettuare le opere per mettere a norma gli impianti, prescritte dai controlli fatti dalla ASL nel 2006. Il dubbio di una strage annunciata diventa così certezza.


<i>ThyssenKrupp Blues</i> di Pietro Balla e Monica Repetto
ThyssenKrupp Blues
di Pietro Balla e Monica Repetto



Se ne La fabbrica dei tedeschi sentiamo come è cambiata la vita di chi stava vicino alle vittime, in ThyssenKrupp blues vediamo il cambiamento non solo nella vita del protagonista, ma nell’opera stessa che, come sterilizzata dal fuoco della linea n. 5, si ripulisce, lasciando da parte zoommate, sfocature e avventurose riquadrature, facendo emergere la volontà di un maggior rigore come segno di rispetto per ciò che è successo. Da quel momento viene meno anche la sostanziale corrispondenza tra storia e intreccio, per cui il viaggio in treno assumerà il ruolo di un riff che marcherà ritmicamente la seconda parte di questo blues. Ad unire le due opere ci pensa anche la colonna sonora: si hanno ancora nelle orecchie le note di Povera patria, nel finale del film di Calopresti, quando all’inizio di TyssenKrupp blues il protagonista ascolta e canticchia E ti vengo a cercare, due delle più belle ed intense canzoni di Franco Battiato.


Valeria Golino e Mimmo Calopresti foto di Fabio Lovino
Valeria Golino e Mimmo Calopresti
foto di Fabio Lovino



La sostanziale inutilità della drammatizzazione iniziale con gli attori, che interpretano i parenti delle vittime nell’ultimo giorno prima della tragedia (in un banale bianco e nero neorealista) e qualche narcisismo di troppo in stile Calopresti, non vanno ad inficiare la validità e compattezza dell’opera. Più innovativo e inconsueto risulta invece quella di Balla e Repetto, con un protagonista davvero ben scelto che dà vitalità e credibilità alla storia mostrata.

Si tratta, comunque, di due opere di cui si avverte la profonda, necessaria urgenza; la documentazione di fatti come quello della Thyssen, sono atti di vera e propria resistenza civile in periodi di programmatiche amnesie e assurdi revisonismi come quelli che stiamo vivendo oggi.





La fabbrica dei tedeschi di Mimmo Calopresti e ThyssenKrupp Blues di Pietro Balla e Monica Repetto
La fabbrica dei tedeschi
cast cast & credits
 
ThyssenKrupp Blues
cast cast & credits
 



 
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