Muukalainen non appartiene certo a quel tipo di cinema che può appassionare le masse di spettatori: ritmo lento, personaggi dimessi, intreccio e dialoghi praticamente inesistenti (la prima parola viene pronunciata dopo oltre venti minuti); ma, per fortuna, il cinema non è solo quello dei blockbuster e, a volte, è possibile incrociare opere intense e sincere come questa. Ben lungi da essere un capolavoro Muukalainen è un bel film che, non volendo scomodare Tarkovskij, rimanda alle atmosfere di Last Days di Gus Van Sant.
In un luogo non-luogo (una casa dentro una foresta del nord), in un tempo indefinito (anni 20? 30? 40?), vivono un ragazzo, che non riesce a parlare, e la madre claudicante. Di tanto in tanto il ragazzo fa visita a suo padre (un uomo violento), che si trova in prigione. Chiuso nella stalla c'è un cavallo non domato, l'unica altra compagnia del ragazzo. La vita semplice dei due viene turbata dall'arrivo di un estraneo, che reca un biglietto del padre del ragazzo ed ha un proiettile in un fianco. Controvoglia, madre e figlio offrono un rifugio all'estraneo.
Il finlandese Valkeapää fa suo il punto di vista del ragazzo, seguendone ogni movimento e condividendone ogni sensazione, in questa non-storia di personaggi senza nome. Lestetica delloggetto, del particolare, del dettaglio, la dinamica campo-fuori campo e soprattutto una forte etica dello sguardo sono i punti di forza del film. A questi va sicuramente aggiunta la giusta integrazione tra immagini e musica, nella stupenda colonna sonora che si fonde perfettamente con i paesaggi e gli stati danimo rappresentati attraverso sonorità, non a caso, vicine a quelle degli islandesi Sigur Ros.
Caso più unico che raro a Venezia questanno, il film, nonostante largomento trattato, è privo di qualsiasi deriva psicologica: anche levolversi della relazione tra la madre e lo sconosciuto, seguita sempre attraverso gli occhi del ragazzo, non creerà contrasti allinterno della casa, dove la vita continuerà, segnata solo dallarrivo dellinverno. Alla fine sarà addirittura il padre carcerato a cercare di uccidere il figlio, tentando di strozzarlo, ma il lancinante urlo del ragazzo alla vista del padre picchiato a sangue dalle guardie, sarà, comunque, un urlo di dolorosa pietà verso quel corpo esanime riverso a terra. Davvero bravo, nella parte del figlio, Vitali Bobrov, che, rimanendo sempre in scena, riesce a dare grande credibilità ad un personaggio forte quanto difficile. É sul suo vitale primissimo piano che si chiude a nero un film di piogge, fango, neve, solitudine, misteri e morte.
Una nota di merito deve essere spesa per tutti quei produttori coraggiosi, che scommettono su opere come queste: necessarie, anche se non certo destinate ad avere successo al botteghino.
|
|