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Un nuovo sguardo sul dramma degli indios

di Sara Mamone
  Una scena del film
Data di pubblicazione su web 02/09/2008  

Assai atteso e altrettanto applaudito al festival, il film di Marco Bechis ha effettivamente tutto per figurare degnissimamente in una rassegna, e in particolare in quella veneziana di quest’anno, dove la direzione di Marco Muller ha importato l’attenzione ai valori politici oltre che alle realtà cinematografiche emergenti che già aveva fatto la fortuna e la fisionomia del suo impegno berlinese. Nell’ambito di questa cinematografia al confine tra il documentario e la creazione documentata Bechis, regista tra i più impegnati nel rivelare al mondo gli orrori di realtà storiche le cui conseguenze sono ancor oggi pesantissime (basta ricordare lo straordinario Garage Olimpo, e l’ultima prova, Hijos, dedicati alle atrocità del regime argentino), è certamente uno dei punti di riferimento. Il suo sguardo d’artista e l’indignazione morale sono questa volta posati sulle estreme propaggini di uno dei più immani crimini della storia e cioè la distruzione delle civiltà del sud America da parte dei conquistadores e la lotta per la sopravvivenza degli estremi, e stremati, discendenti dei legittimi abitatori di quelle terre.

Chiara Caselli in una scena del film
Chiara Caselli in una scena del film



Nel Mato Grosso do Sul, ormai cacciati ai limiti di produttive fazendas, gli indigeni vivono in riserve assai poco protette, ridotti soltanto a comparse di un’oscena farsa turistica; ostentatamente nudi e dipinti dei colori rituali, si espongono al superficiale brivido di osservatori distratti, sono loro gli “uomini rossi” espropriati della terra e sono “gli altri” i “Birdwatchers” che li guardano con la stessa distratta curiosità con cui osservano gli uccelli del luogo. Dietro questa comparsata mal pagata la realtà è ben altro: è fatta di miseria, di umiliazioni, di perdita di senso, di dignitosa disperazione e, nei più giovani e fragili, di sempre più frequenti suicidi. Proprio dal suicidio di due adoloscenti della piccola comunità india “studiata” da Bechis parte il film, dal silenzio attonito della foresta, dai riti senza tempo della morte, dall’emergere di un orgoglio intermittente che spinge il capo della piccola comunità tribale ad abbandonare la riserva per accamparsi ai bordi della sterminata proprietà di un fazendero, innescando un processo di progressiva paura da parte della piccola comunità di privilegiati e insieme ad essi degli indios asserviti (come lavoratori della terra o come personale di servizio domestico), i più spaventati forse, dall’onda di orgoglio e di resistenza che può comprometterne l’inserita sopravvivenza.

Una scena del film
Una scena del film



Naturalmente le cose andranno come non possono più non andare, e cioè con la fiammella presto spenta di una speranza impossibile, con il progressivo affievolirsi dell’autorità del capo della tribù, con le incomprensioni con i giovani, col suicidio prima del figlio stesso del capo, poi con la sua inevitabile uccisione da parte dei sicari del latifondista e, infine, con il suicidio del giovane indio pronto a diventare sciamano della comunità, segno non solo della fine fisica ma anche di quella culturale. Tutto questo può essere grandioso o un po’ ripetitivo, quasi una variazione su temi già molto trattati al cinema, se non fosse per il punto di vista scelto, almeno programmaticamente, da Bechis, e cioè quello dei vinti, con un capovolgimento di prospettiva che implica nello spettatore lo sforzo sincero di un nuovo punto di vista. Per far questo l’ impegno di Bechis è enorme, nella scelta dei suoi interpreti non attori, nella conoscenza delle loro sensibilità umane prima che nella capacità di trasferirle sullo schermo. Né meno impegnativo è il lavoro di conoscenza della cultura e dei riti della comunità. Questa concentrazione di interesse antropologico costituisce l’emozione del film, mentre fragile, troppo fragile e schematica  risulta l’attenzione riservata ai vilains della storia, silhouettes mal ritagliate e sostanzialmente, così come sono, inutili (per non parlar della storia amorosa tra la spregiudicata figlia del fazendero e il giovane sciamano).

P.S. Mentre scriviamo una gondola scivola nel canale accanto con alcuni suonatori che intonano “funiculì funiculà” per alcuni Birdwatchers estasiati. Che pena.  



La terra degli uomini rossi
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