Forse non tutti sanno che si deve soprattutto ad Amir Naderi la scoperta del cinema iraniano, che tanto è andato di voga nei festival internazionali degli ultimi ventanni. Negli anni Ottanta fu proprio lui a richiamare lattenzione sulla cinematografia del suo paese con un film che allora fece a suo modo epoca (Davendeh). Solo che Naderi pensò ben presto di lasciarsi alle spalle la Persia degli hayatollah e di trapiantasi in America, dove ha realizzato la sua trilogia newyorkese (Manatthan by Numbers, A.B.C. Manhattan e Marathon).
Per questo nuovo film, in concorso alla Mostra di Venezia, Naderi ha scelto di spostarsi più a Est, nel cuore dellAmerica più provinciale e folle: niente meno che la capitale del gioco, della s/fortuna, dellazzardo, del mondo ricostruito sotto forma di plastica e paillettes, ladies&gentlemen: Las Vegas. Eddie Parker (Mark Greenfield) e sua moglie Tracy (Nancy La Scala) vivono infatti a ridosso del deserto che circonda la città-disneyland, sono semplici operai e conducono con il figlio dodicenne (Zach Thomas) una vita tranquilla. Eddie, con il vecchio vizio del gioco, non ha mai vinto che qualche spicciolo, e Tracy che si prende cura del piccolo giardino e dellorto fa di tutto per tenere unita la famiglia. Un giorno però si presenta uno sconosciuto: sotto falsa identità fa unofferta sproporzionata per acquistare la casa; pare che da qualche parte sotto il giardino sia stata nascosta una valigia con un milione di dollari, bottino di una rapina finita male compiuta anni prima. Prima Eddie, poi il figlio e infine anche la sconsolata Tracy cadono nel tranello (dietro cè un giro di scommesse) e decidono di iniziare a scavare: sarà lincipit di una ricerca forsennata che presto si trasformerà in follia distruttiva: del giardino, della casa, della famiglia stessa.
Parabola surreale e tragica sullAmerica dinizio millennio, Vegas è un straordinario e minimale affresco sulla miseria umana e sulla sete insaziabile di denaro che attanaglia anche le classi meno abbienti della sterminata provincia USA. Atmosfere alla Gus Van Sant (il bambino biondo richiama nelle fattezze fisiche i nichilisti ragazzi di Elephant e Paranoid Park) e un certo gusto per il tragicomico fanno di questo film il punto di equilibrio nella cinematografia di Naderi, visto che il regista iraniano fonde il suo sperimentalismo con una struttura da cinema narrativo più tradizionale: le riprese lunghe e intense della vita del deserto si fondono con lossessione del gioco e della scommessa. Tutto si trasforma presto in una ineluttabile patologia fisica e morale: la sete di denaro, lorizzonte della ricchezza facile ottenuta puntando tutto sulla mossa vincente, si trasformano nella tragedia di una famiglia a suo modo indifesa, pallida e ridicola versione della borghesissima american way of life (basti pensare a come Tracy ha ricostruito in un container la casa-tipo della famiglia media americana).
Un film sul marcio, davvero tanto, che si nasconde dietro i luccichii sfavillanti di Las Vegas, questa volta rappresentata come un muto e ieratico orizzonte che tutto nel nulla ingoia, come lo stesso Eddie, che scavando sempre più in profondità nella sua terra arida e ingenerosa non fa altro che preparare la sua tomba. Alla fine è solo il piccolo bambino a trovare il coraggio di riportare sul terreno devastato un vaso di fiori salvato dalla follia distruttiva del padre. Un tenue messaggio di speranza per un Paese che tra pochi mesi sarà chiamato a scegliere alla sua guida tra un ragazzo nero che commuove le platee citando Martin Luther King e un vecchio veterano con in corpo i segni della prigionia inflitti dai vietcong. La speranza è quella di non finire, almeno per stavolta, sottoterra.
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