Sono passati due lustri e lAmerica celebra uno dei suoi figli più illustri, nati dal suo stesso seno e simbolo di quelle meravigliose contraddizioni che rendono questa terra un unicum nel campo artistico ed intellettuale.
Jerome Robbins, considerato “un monumento della danza made in Usa” al pari di Martha Grahm e in coppia con il russo George Balanchine, a cui lAmerican dance deve altrettanto, è stato ricordato con la pubblicazione di Somewhere. The life of Jerome Robbins, la nuova biografia redatta da Amanda Vaill, una mostra al Lincoln Center e lospitalità al Saratoga Performing Art Center del New York City Ballet che ha messo in scena alcuni capolavori di Robbins e di Balanchine, i leggendari “co-direttori” che, un anno dopo la fondazione della compagnia, avvenuta nel 1948 ad opera di Balanchine, erano alla guida di quella che sarebbe diventata una fra le più importanti istituzioni ballettistiche internazionali.
Ebreo, omosessuale e comunista, come confessò davanti alla Commissione maccartista, che lo portò a denunciare altri compagni di partito per nascondere la sua diversità ed evitare lostarcismo teatrale, Jerome è a detta di Peter Martins, a capo del New York City Ballet dal 1990, «the greatest American-born choreographer» che ha lasciato un segno indelebile, assorbendo senza difficoltà influenze eterogenee.
Ashley Bouder in The Four Seasons
(foto di Paul Kolnik)
Robbins, come ballerino e dancemaker, ha saputo infatti prendere dalla danza classica, dalla danza moderna, dalla danza jazz, dal ballo da sala, dal musical, per dare vita allo 'stile Robbins' che ancora oggi è riconoscibilissimo e in grado di impartire la sua lezione.
Spirito eclettico e convinto assertore del sincretismo coreutico, lartista ha lasciato il suo credo estetico in balletti come Age of Anxiety, The Cage, Afternoon of a Faune, The Concert, Moves, Les Noces, The Goldberg Variations, Le Quattro Stagioni, Dances at Gathering, e a Broadway nei musical On the Town, The King and I, Peter Pan, Funny Girl. Senza dimenticare losannato West Side Story su musica di Bernstein, vincitore di due premi Oscar per la regia e la coreografia.
E al Saratoga Performing Art Center, un anfiteatro immerso nel verde dellordinata e tranquilla cittadina americana, famosa per il festival estivo, le corse dei cavalli, le partite di golf, il piccolo ma curato National Museum of Dance and Hall of fame, il New York City Ballet ha interpreto con successo un programma che alternava pezzi di Robbins a presenze ‘balanchiniane, intervallate da creazioni di Peter Martins, Alexei Ratmansky, Christopher Wheeldon. Sei serate e un Galà finale che ha chiuso il palinsesto dello SPAC, arricchito dai concerti della Philadelphia Orchestra.
Il primo appuntamento intitolato All Robbins, che ha inaugurato il festival giunto alla sua 43ma edizione, ha proposto The Four Seasons del 1979, Moves. A Ballet in Silence del 1959 e The Concert (or, The perils of everybody) del 1956, tre significative tappe dello stile ‘robbinsoniano frutto di quella mellificatio coreutica che gli ha consentito di appropriarsi e rielaborare in maniera easy ciò che è “altro da sé”.
The Four Seasons su musiche tratte dai Vespri Siciliani di Verdi, interpolate con brani tratti da I Lombardi alla prima Crociata e Il Trovatore, appartiene alla tradizione dei balletti-divertissements ottocenteschi, posti in apertura del terzo atto di unopera lirica, e dei ballabili sparsi qua e là negli atti che Verdi rispettò in produzioni parigine come I Vespri Siciliani e Don Carlos.
Presentato dal New York City Ballet anche in Italia al Teatro Regio di Parma nel 2001 in occasione delle celebrazioni verdiane e poco prima dellattentato alle Torri Gemelle di New York, The Four Seasons è un tributo allinsospettata verve danzante del genio di Busseto da parte di Robbins che, in sintonia con Balanchine che lanno prima aveva creato il Ballo della Regina dal terzo atto del Don Carlos, coglie il destro per cimentarsi nei ballabili verdiani. E lo fa in maniera leggera e garbata irridendo alla ridondanza scenografica dellepoca, richiamata dallo sfarzoso décor, dai sontuosi costumi di Santo Loquasto e dalle intense luci di Jennifer Tipton, e sottolineando la ballabilità della musica verdiana eseguita New York City Ballett Orchestra diretta da Maurice Kaplow.
Sterling Hyltin e Andrew Veyette in The Concert
(foto di Paul Kolnik)
Jerome realizza un vero gioiello coreografico tutto giocato sugli umori e i cromatismi stagionali resi ancora più evidenti da un corpo di ballo in forma smagliante a cominciare da Giano, il dio del nuovo anno, impersonato da un autorevole Jason Fowler, che introduce lInverno, Justin Peck, il trio Antonio Carmena, Megan Fairchild, Adam Hendrickson, e il corteggio di otto elementi, tutti rigorosamente in bianco.
Segue la Primavera di Kaitlyn Gilliland con leccellente coppia Sara Mearns e Philip Neal e relativo quartetto, in costumi giallo-verde, poi lEstate di Briana Shepherd e del formidabile duo Rachel Rutherford e Amar Ramasar con sestetto nei colori delloro e dellarancione. Alla fine lAutunno di Henry Seth, nelle mille sfumature del rosso, fa il suo ingresso con il brillante terzetto Ashley Bouder, Joaquin De Luz, Daniel Ulbricht, accompagnati da un gruppo di sedici elementi.
In un fuoco di fila i protagonisti sfoderano virtuosistici passi della danse décole che restano impressi soprattutto nelle esecuzioni dei ‘primaverili Sara Mearns e Philip Neal, degli ‘estivi Rachel Rutherford e Amar Ramasar e degli ‘autunnali Ashley Bouder, Joaquin De Luz e Daniel Ulbricht. E se deliziosamente perfette sono le ballerine, Joaquin e il fauno Ulbricht lasciano a bocca aperta per i giri e i salti stratosferici, la sicura discesa in aplomb e la levità di tutto linsieme, inconfondibile cifra di Robbins.
Testimonianza dellhumor e dellironia del “danzautore” è anche The Concert (or, The perils of everybody), una “Charade in One Act” su musica di Chopin con la New York City Ballett Orchestra diretta da Clotilde Otranto e il piano di Nancy McDill.
In The Concert il coreografo, avvalendosi del sobrio allestimento di Saul Steinberg, registra in un crescendo di divertenti gags i comportamenti di coloro che si recano a un concerto. Chi si adopera per conquistare il posto migliore, chi cerca di liberarsi della moglie per corteggiare una bella ragazza, chi si lancia in gesti da fan scatenata, chi si indigna per la maleducazione del vicino, chi si lascia andare a voli di fantasia sulle note di Chopin. Alla fine gli interpreti, dotati di ali di farfalla, vengono rincorsi dalla pianista con un retino in un esilarante happenig con Groucho Marx che sfoggia bombetta e baffetti in omaggio a Hollywood e a Broadway. Atmosfere presenti anche nelle frizzanti sequenze dei passi, un pot-pourri di classico, moderno e jazz, e nelle continue risate degli spettatori sinceramente coinvolti da questa “charade in One Act”.
Moves. A Ballet in Silence, presentato per la prima volta al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1959 dal Ballets U.S.A., un piccolo gruppo fondato da Robbins e attivo solo per un biennio, e poi dal New York City Ballet nel 1984, è danzato nel più assoluto silenzio. Unica concessione alla magia della scatola scena sono le luci di Jennifer Tipton che assecondano la fusione tra forme del balletto classico e moderno, realizzata con una tale libertà e fantasia da essere in sintonia con le tendenze della danza contemporanea attuale.
Dellossatura accademica il coreografo mantiene limpostazione costruendo il lavoro su cinque parti: lEntrances di cinque coppie che eseguono dei pas de deux, la sequenza di Dance for Man e una di Dance for Women, poi di nuovo i Pas de Deux e il Finale con lintero cast. I ballerini del New York City Ballet interpretano alla grande tutta una serie di legati che esistono nei corpi che li eseguono e nella precisa funzione di segno che rivestono. Un segno 'alla Robbins' ancora riconoscibile e celebrato nel ricordo di chi, passato a miglior vita il 29 luglio 1998, è ancora tra noi.
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