Lionel, un corpulento uomo di colore che guida i treni, è vedovo e vive a Parigi solo con la figlia. La loro vita ormai sembra, dopo così tanti anni passati dalla morte della moglie, quella di una vera e propria coppia: si prendono cura luno dellaltra come se il tempo non passasse mai.
Su questo semplice traccia narrativa la regista francese Claire Denis ha imbastito la struttura del suo nuovo e riuscitissimo film, 35 rhums, presentato fuori concorso qui alla Mostra di Venezia: i rhum del titolo sono quelli che Lionel (Alex Descas) aspetta di bere, come una specie di esorcismo, nel momento in cui la sua vita cambierà, e sarà quando sarà costretto ad allontanarsi dalla figlia Josephine (Mati Diop), che si sposerà con il confusionario e tenero dirimpettaio (Gregoire Colin).
Il film sembra muoversi su due piani felicemente dialettici. Da una parte cè la città, Parigi, ripresa soprattutto di notte, con le sue mille luci, le strade bagnate dalla pioggia, la sua umanità pulsante, il tutto accompagnato da una selezione musicale raffinata e di atmosfera; dallaltra ci sono gli interni (soprattutto gli appartamenti e i bistrot) in cui si muovono i personaggi, cinque in tutto: padre, figlia, due vicini di casa (il futuro sposo e una donna, tassista di mezzetà che continua a coltivare il sogno di congiungersi un giorno con Lionel), e un collega di Lionel che non riesce a reggere la solitudine del pensionamento.
I due piani sono perfettamente armonizzati grazie a unatmosfera di rarefazione che ha permesso alla regista di rinunciare in gran parte ai dialoghi (cosa più unica che rara nel cinema francese, tradizionalmente troppo “scritto”) per affidare alla gestualità misurata degli attori e a una vera e propria poetica degli oggetti quotidiani (si pensi alluso espressivo che viene fatto di un banale elettrodomestico come il bollitore elettrico di riso) tutta la poesia di un film lieve e intenso in cui il rapporto padre-figlia sembra passare indenne, cambiando continuamente per restare lo stesso.
La dolorosa perdita della moglie e della madre, una figura assente per tutta la durata del film, se si esclude il finale, viene infatti sostituita da un rapporto di complicità problematica che cerca di rendere questo strano rapporto a due immune dall'esterno; tuttavia è proprio questa ricerca dellequilibrio a produrre una porosità nei confronti del mondo che per la ragazza si trasforma in uniniziazione alla vita, e per il padre in una nuova coscienza della maturità.
La situazione alla fine si ribalta senza dare nessuna impressione di essersi ribaltata: un paradosso? No. Anzi. Le scene forse più riuscite di tutto il film sono proprio quelle del giorno del matrimonio, il giorno del distacco, tutto giocato su abbracci, sguardi, silenzi, piccoli gesti che diventano di una forza espressiva enorme. Un piccolo grande film dunque, che riflette, attraverso uno stile essenziale, diretto, ma carico di toni misteriosi ed intesi (un occhio al tanto amato Rivette?) e che conferma la Denis come una delle più interessanti registe europee di oggi.
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