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La ragazza del lago

di Marco Luceri
  Un fotogramma del film
Data di pubblicazione su web 30/08/2008  

È davvero un grande film l’ultima opera di Paolo Benvenuti, presentata fuori concorso alla Mostra di Venezia: Puccini e la fanciulla, accolto da applausi scroscianti, è fino ad ora il più bel film visto al Lido. Come ha dichiarato lo stesso regista, il progetto è nato dal duplice tentativo di ricostruire l’incanto della creazione musicale pucciniana e di fare luce, al contempo, su uno degli episodi più oscuri della vita del maestro: il dramma della giovane cameriera Doria Manfredi, morta suicida a Torre del Lago forse per amore di lui, nel 1909, mentre Puccini componeva La fanciulla del west.

È un ritorno da grande protagonista quello del regista pisano, dopo che con Segreti di stato (in concorso nel 2003 sempre qui a Venezia) si era avvicinato al film d’inchiesta con qualche incertezza. Con Puccini e la fanciulla Benvenuti ritorna alla grandiosità dei suoi due film più riusciti (Confortorio, 1992 e Gostanza da Libbiano, 2000): il film, così denso di un minimalismo poetico ricchissimo, è fatto di atmosfere, paesaggi, silenzi e ha la particolarità di essere quasi interamente privo di dialoghi; l’unica traccia verbale è infatti costituita dalle voci over che leggono le lettere che il compositore e la fanciulla si scrivevano clandestinamente. Una storia tragica, quello dell’amore tra i due (interpretati da Riccardo Joshua Moretti e Tania Squillaro), trattata alla maniera di un mistero medievale, con la macchina da presa che alterna splendidi movimenti a immagini fisse dal forte impatto pittorico, come se ogni sequenza fosse una sapientissima partitura visiva da affresco trecentesco.




Il senso del mito e della sacralità traspare (come nei Centochiodi di Ermanno Olmi) da ogni suono del film: che siano le fronde al vento, il lento solcare le acque di piccole imbarcazioni, le note suonate al pianoforte o lo sfiorarsi delle vesti, queste immagini sembrano come d’incanto essere nuove e antiche allo stesso tempo: siamo nei primi del Novecento eppure tutto sembra scivolare in un tempo senza tempo, come se la vicenda fosse uscita dalla penna di un Thomas Mann. L’uso quasi espressionista della luce contribuisce a raggelare o a rendere intimo ogni angolo dello spazio della vicenda, soprattutto i magnifici interni, curati in ogni minimo particolare da una messinscena davvero pregevole.

Il registro linguistico adottato da Benvenuti privilegia dunque le scelte forti, estreme e questo è il principale pregio di un regista che continua la sua carriera di sperimentatore in maniera rigorosissima, a discapito di qualsiasi tipo di sirena commerciale, e forse un giorno il cinema italiano gli renderà il dovuto e più che meritato omaggio. L’impegno estetico del regista pisano è il contraltare del suo impegno morale: egli è oggi uno tra i pochissimi, veri eredi della lezione linguistica di maestri come Dreyer, Murnau e Rossellini.

Il cinema come strumento di conoscenza del mondo, come elevazione spirituale, come viaggio attraverso la realtà, per giungere alla realtà stessa, e quindi all’Uomo: è raro che un film riesca a condensare queste istanze, riuscendo a rendere una semplicissima storia di amore perduto in uno splendido affresco poetico sull’immagine del mondo. E forse non importa se poi alla fine questo film, probabilmente, troverà una scarsa distribuzione. Ci basterà essere certi che il cinema, soprattutto quello di Benvenuti, riesca a emozionarci anche con il semplice suono di giunchi piegati dal vento.






Puccini e la fanciulla
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