Dura appena sette minuti il cortometraggio che Manoel de Oliveira ha “donato” alla Mostra di Venezia, di cui è ormai da tanti anni un infaticabile habitué. Sette minuti di un work in progress, di un lungometraggio ancora in fase di realizzazione e che si preannuncia, forse, come una di quelle opere definitive che chiudono il cerchio su una cinematografia che continua a viaggiare splendidamente attraverso la storia del cinema.
Sette minuti che ci restituiscono il sapore del cinema, quello vero, che si sa nascondere anche dietro luso di “nuove” tecnologie come il video e che incanta ancora attraverso lo stupore iniziale di essere macchina di rappresentazione di qualsiasi contemporaneità.
Il regista sul set
Sette minuti che narrano lincontro tra due vecchi amici per le strade brulicanti di una San Paolo catturata in una splendida mattina destate. I due, disturbati nella loro conversazione dallo squillare senza tregua dei loro cellulari, decidono di parlarsi attraverso di essi, per conversare senza interruzione sulla salvezza del mondo.
Splendida e semplicissima parabola allegorica sullincomunicabilità del mondo moderno, il cortometraggio riflette in maniera diretta su quanto la solitudine umana sia forte in un tempo in cui la comunicazione tecnologica permette di arrivare a chiunque e dovunque. Un piccolo squarcio, insomma, su quello che sarà il film Mondo invisibile, che contiene già in nuce le premesse per essere un capolavoro. E il cinema che compito può avere in tutto questo? Forse ancora quello di farci spalancare gli occhi, con la sua forza destabilizzante, di fronte allinesorabile (forse) ascesa di un mondo in cui la tecnica ha preso il definitivo sopravvento anche sui sentimenti.
Lunica via di salvezza può essere il ritorno dal visibile allinvisibile? Dal pixel allignoto? Aspettiamo.
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