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C'era una volta ... un uomo, che voleva diventare un pezzo di legno

Gherardo Vitali Rosati
  Armando Punzo
Data di pubblicazione su web 11/08/2008  
Due settimane dense di eventi di straordinaria qualità hanno segnato, a Volterra, il ventennale della nascita della Compagnia della Fortezza. Oltre a riproporre uno dei principali successi del gruppo – il Marat-Sade, che nel 1993 gli valse il premio Ubu come miglior spettacolo – il regista, Armando Punzo, ha portato a termine il lavoro iniziato lo scorso anno, dedicato a Pinocchio. Non a caso. Le vicende del burattino, sempre in fuga dalla scuola e dai buoni insegnamenti di Geppetto e della Fata Turchina, ben rappresentano quelle di Punzo, che ripete fuori scena di sentire «una voce che mi dice costantemente che non mi piace questa umanità». Per questo ha deciso di allontanarsene progressivamente: prima col teatro e poi con il più radicale isolamento all’interno della sua Fortezza, il carcere penitenziario di Volterra.

È allora evidente che della storia di Pinocchio il regista privilegi il Paese dei Balocchi, e non certo il finale. Anzi, Punzo si interessa esattamente al percorso inverso: quello che può portare un uomo a diventare un pezzo di legno. Il suo Pinocchio è dunque prevalentemente ambientato nel Paese dove il burattino divenne asino col suo compagno Lucignolo. Con un lavoro drammaturgico che ricorda le operazioni che proponeva Carmelo Bene, il regista condensa la storia di Collodi – o almeno le parti che a lui interessano – in questo luogo spazio-temporale.




E a Carmelo si ispira anche per il suo lavoro di attore protagonista, sempre in cerca di nuove sonorità vocali, che sfiorano il virtuosismo. Il suo Pinocchio è fin dall’inizio iper-attivo, quasi nevrotico, corre all’impazzata da una parte all’altra dell’assolato Cortile Principale del carcere, si precipita verso i microfoni sparsi qua e là per dar vita ad ansimanti esplosioni vocali, che ripetono senza interruzione le angosce del malcapitato burattino. Che vuole impiccarsi – «voglio morire!» è una delle sue espressioni favorite –, cerca ogni modo per uscire da questo mondo. Compreso quello di rifugiarsi nella letteratura e nella fantasia, grazie ad un significativo inserto del Don Chisciotte.

Come un bambino viziato è Pinocchio-Punzo a dare gli ordini agli altri attori. «Voglio… voglio…. Tanti conigli!» ed ecco che entrano i noti personaggi della storia. Costantemente accompagnato da una colonna sonora che spazia da Beethoven a Mozart (col Requiem, sul finire dello spettacolo), Pinocchio è un viaggio complesso, che introduce elementi originali (oltre al citato prestito da Cervantes, vediamo, ad esempio, un esilarante teatrino con tanto di spettacolo rock). E non fa eccezione nemmeno il finale, che raffigura una grande e poetica Tempesta.




Un lavoro estremamente preciso – un video sul backstage testimonia l’assiduità degli attori, con prove sette giorni su sette, tutto l’anno, feste comprese – e curato nei minimi dettagli – molto belli i costumi firmati da Emanuela Dall’Aglio. Uno spettacolo caratterizzato da una forza particolare, molto rara dove si percepisce la “necessità” di recitare che accomuna attori detenuti e professionisti. Senza mai volere assecondare il pubblico, Punzo ha realizzato uno spettacolo capace di toccare nel profondo tutti gli astanti. E gli applausi sembrano non dover mai finire.  







Pinocchio - Lo Spettacolo della Ragione
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