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Nel cuore dell'illusione

di Sara Mamone
  La cour des grands
Data di pubblicazione su web 20/11/2001  
La rentrée teatrale è sempre uno dei momenti importanti nella vita cittadina. La piacevolezza di questa rassicurante ripresa è garantita quest'anno da una triplice apertura consecutiva in alcune delle più importanti istituzioni teatrali dell'area metropolitana: il centro della città, con il suo storico (e simbolico della teatralità tutta) teatro della Pergola che ha aperto i battenti con la felicissima fatica dei percorsi internazionali dell'Eti (ghiotto antipasto internazionale di un menù che procede poi su più familiari sapori); il vicinissimo faubourg di Sesto fiorentino che anima il precampionato con la fitta rassegna di  "Intercity" (ospite di gala e di inaugurazione Hanna Schigulla che sbarcherà il 5 ottobre alla Pergola con lo spettacolo inaugurale del ciclo dedicato a Berlino) e la sempre stimolante area pratese che al Fabbricone apre con la prima nazionale dei due implacabili cantori dell'artigianato teatrale Remondi e Caporossi con Aión. Vedremo nei prossimi giorni ma già ora possiamo far tesoro dell'ottima serata inaugurale della Pergola, con il suo caratteristico e gradevolmente ripetitivo incrociarsi di volti noti, nel confortante calore di gusti e riferimenti comuni. E fors'anche di qualche curiosità.

Per questi incontri lo spettacolo La cour des grands di Jerôme Deschamps e Macha Makeïeff è semplicemente perfetto. Perché permette di vedere l'ultima creazione di uno dei più interessanti fenomeni teatrali di questi anni: una coppia creativa che affonda i denti della sua cultura aggiornatissima nel corpo molle di quella Francia un po' provinciale che ha sempre desiderato aggiornarsi e in questo sforzo imitativo ci ha dato i grandi personaggi molieriani, Bouvard e Pecuchet, Tartarino, gli eroi di Labiche i goffi e poetici maldestri di Tati. Noi, che conosciamo questa tradizione pur senza averla, possiamo tranquillamente riderne perché capiamo ma possiamo far finta che non ci riguardi. E così, senza alcun riguardo, possiamo ridere e sentirci superiori a questi brutti e sporchi ma non cattivi che popolano con la loro inadeguatezza il palcoscenico del mondo.

Pensionnaires (pensionanti) bizzosi e ingombranti nella coabitazione forzata della sala d'attesa del memorabile spettacolo precedente, qui i buffi senza qualità (è cambiato l'organico ma non l'eccellenza di questi artisti straniati) si scontrano, si accompagnano, si seguono e si inseguono in un altro dei luoghi non luoghi della nostra moderna irraggiungibile omologazione: una sorta di palestra fatta di squallore e grigiore, di piccoli mobiletti demodé e crudelmente selettivi nel loro chiudersi e spalancarsi, di meccanismi celibi o comunque incomprensibili di dominio, ordini sibilati da fuoruscite di vapori, becckettiani fischietti che scandiscono i tempi di una insormontabile angoscia e schiavitù.

Sulla parete, non così alti da sembrare irraggiungibili, gli affollati trofei di gare a cui i nostri grassi goffi e malvestiti si illudono di poter aspirare, in un mescolarsi di suoni e dialetti, di abiti sgraziati, di corpi che nessuna palestra riuscirà a rendere glamour e alla moda. In tutta questa illusione di ascesa alla Cour des Grands però gli artisti-demiurghi danno a questa vera court des miracles il dono, questo sì miracoloso, della voce, bella giusta e intonata, quasi una scala di seta a cui appendere le speranze di una qualche diversa possibilità di vita. Con una grazia impagabile ci portano nel cuore dell' illusione. Cioè del teatro.

Le cour des grands
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