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Notti di sguardi

di Riccardo Castellacci
  Norah Jones e Jude Law
Data di pubblicazione su web 09/04/2008  
Nei primi minuti di My blueberry nights (letteralmente "le mie notti al mirtillo" tradotto in italiano Un bacio romantico) si ha la sensazione di "aver sbagliato film": le immagini, le atmosfere, i sentimentalismi dei personaggi appartengono pienamente al cinema del celebre regista cinese Wong Kar-wai; ma ritrovare quei temi in luoghi e con protagonisti occidentali provoca un lieve spaesamento. My blueberry nights è, infatti, il primo film di Wong girato in America in lingua inglese.

Rachel Weisz
 
My blueberry nights è un road movie insolito, intimo: non si vedono che pochissimi sprazzi di esterni e la maggior parte del film è girato al chiuso, o sulle soglie d’entrata, nei pochi metri davanti ai caffè, ai fast food o ai motel in cui lavorano e si muovono i personaggi. La storia è esile, a tratti inesistente: un viaggio che si distende intorno allo sguardo della protagonista femminile, Elisabeth (Norah Jones, la celebre cantante qui alla sua prima prova di attrice), che in un piccolo caffè di New YorK scopre, grazie all’aiuto del giovane gestore Jeremy (Jude Law), di essere stata tradita. Wong dà l’idea di volersi allontanare più volte dal racconto e a tratti abbandona i suoi personaggi. Ma stavolta, diversamente da quanto accadeva in 2046, è probabilmente richiamato all’ordine dallo sceneggiatore, l’esperto di gialli Lawrence Block. Nel film precedente, 2046, Wong era rimasto intrappolato nel suo stesso cinema, impantanato nella bellezza algida e impeccabile di In the mood of love, che è espressamente citato anche in questo ultimo lavoro con l’inserimento del leitmotiv di Michael Galasso in una delle scene iniziali. Ma la citazione è solo un accenno, distorto e difficilmente riconoscibile, in cui gli archi sono sostituiti da un’armonica jazz. Da lì a poco il film prenderà un’altra strada, per intraprendere un viaggio verso la frontiera, verso l’Ovest. Rifiutando l’amore e il conforto di Jeremy, Elisabeth si sposterà da un lavoretto a un altro in piccoli e squallidi locali, sempre più lontana da New York: prima a Memphis dove incontrerà un poliziotto alcolizzato (David Strathairn) incapace di accettare l’abbandono della moglie (Rachel Weisz); poi nel Nevada dove farà amicizia con una giovane giocatrice di poker (Natalie Portman, la piccola adolescente di Leon) segnata dal rapporto col padre. Elisabeth diverrà una spettatrice: le cose accadranno agli altri, fuori da lei. Ma è grazie a questa esperienza che troverà la forza per tornare da Jeremy.
Norah Jones e Natalie Portman

Il viaggio di Elisabeth è un viaggio interiore in cui il paesaggio americano diviene un insieme punteggiato di immagini che fanno da contrappunto alle sue emozioni: insegne, luci, treni, semafori lampeggianti appesi ai cavi. Quello di Elisabeth è anche il viaggio di Wong Kar-Way in una America da cui non si è mai completamente allontanato (fra i suoi ispiratori principali c’è soprattutto il primo Scorsese). Wong aveva già dato una interessante prova di road movie con Happy Together, girato in parte in Argentina. In questo caso sorprende come il regista cinese trasformi i segni del paesaggio americano in figure del suo cinema.

La figura retorica che domina il film è il close-up ("primo piano" o anche, semplicemente, "da vicino"). Il film si apre con un primissimo piano di una fetta di dolce che l’obbiettivo e il ralenti trasformano in un paesaggio lunare di crateri e cavità, dove fiumi al mirtillo si mescolano voluttuosamente con torrenti bianchi di gelato. La m.d.p. diviene presenza ossessiva e costante all’interno del film, un occhio esterno che tutto vede e registra, come la telecamera che Jeremy installa nel locale e che sorprende i due mentre si baciano. Il close-up non è rivolto solo all’immagine, ma anche al tempo. Rallentando le inquadrature, diminuendo la velocità di ripresa, il tempo, e con esso ogni azione, si amplia, si lacera, perde confini. In questo modo la stessa immagine mostra volti e significati inesplorati.

Raffinato visivamente, con la fotografia di Darius Khondji che in più punti sfiora il manierismo, rarefatto come sbuffo di sigaretta, stilizzato e astratto come un paravento orientale, My blueberry nights è un film sulla distanza (di tempo e spazio) che intercorre fra i personaggi e i loro sguardi, sullo scarto che si frappone fra un’immagine e quella successiva. Wong, dilatando a dismisura i tempi morti passati a guardare, in cui non accade niente, riesce a cogliere quei particolari solo apparentemente trascurabili: riflessi, bagliori improvvisi che scivolano sulle pareti vetrate e sfuggenti della visione. I personaggi sono visti attraverso uno schermo, le vetrine bagnate con le scritte semplici e banali dei caffè, dei bar, e a loro volta guardano qualcosa che spesso sfugge, ma che è, in genere, un fuori campo che noi non vediamo e di cui cogliamo solo qualche segno, una strada, un semaforo, un treno che passa. My Bluberry Night è una raffinata mise en abyme, in cui quello che si desidera e si cerca, alla fine, è il cinema.

My blueberry nights appartiene più al bozzetto, alla piccola composizione pittorica non priva di una certa maniera, che alla grande opera. Ma forse proprio in questi limiti, che appaiono ben dichiarati rispetto alla pretese di opera definitiva che aveva avuto 2046, risiede una delle maggiori qualità del film.

 



Un bacio romantico
cast cast & credits
 


Norah Jones
 

 

 


 

Wong Kar-way

 
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