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Note cupe

di Riccardo Castellacci
  Johnny Depp e Helena Bonham Carter
Data di pubblicazione su web 24/02/2008  
Più un film dell’orrore che un musical, Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street sorprende per la crudeltà, per il non celato pessimismo, per la cupezza di fondo. I toni gotici e tenebrosi, che spesso contraddistinguono i film di Tim Burton, non sono in questo caso soltanto fattore esterno, scenografico, in cui calare storie tutto sommato convenzionali, sorta di fiabe al contrario, condite di intenso sentimentalismo. Questa volta il palco su cui si muovono i personaggi è più sadico che patetico e il sangue e l’orrore finiscono per offuscare ogni richiamo romantico. Per Burton Sweeney Todd ha rappresentato senza dubbio uno sforzo notevole: piegare un melodramma musicale alla sua poetica, rivendicando in pieno la propria idea di autorialità.

Johnny Depp e Helena Bonham Carter
 
Burton traduce in film la tragedia della vendetta dalle tinte fosche e grottesche di Stephen Sondheim, rispettando in gran parte testo e musica. L’adattamento di Sondheim del 1979 per i palcoscenici di Broadway, che ha fatto conoscere la storia di Sweeney Todd allo stesso Burton (il quale ne vide la messa in scena negli anni ottanta, quando era uno studente in vacanza a Londra), si rifà ad una versione elaborata nel 1973 da Christopher Bond, in cui per la prima volta veniva data una giustificazione sentimentale agli atti del diabolico barbiere: un uomo potente e malvagio, invidioso di Todd e della sua bellissima moglie, imprigiona ingiustamente il barbiere, lo fa allontanare dalla città per approfittare con l’inganno e la forza della donna. Quando Sweeney Todd fece la sua prima comparsa al pubblico, in un romanzo a puntate del 1846, Todd era un assassino che uccideva unicamente per denaro: tagliava la gola ai suoi clienti facendoli precipitare in uno scantinato dalla poltrona da lavoro; la sua complice e amante, Mrs Lovett, triturava i corpi e con l’impasto farciva dolcetti da vendere nella sua pasticceria a clienti ignari ma soddisfatti. Sulla storia di sangue del plot originale, il melodramma di Sondheim introduce temi che vanno dal Conte di Monte Cristo a The Revenger's Tragedy: la corruzione del potere diventa la causa principale di ogni male; l’avidità giustifica la furia di Todd. Ma è la vendetta a diventare la vera ossessione e il centro dell’azione.

Burton aveva pensato da tempo di portare sullo schermo questo musical. Adesso, con un Leone d’oro alla carriera sul comodino, può permettersi di rendere omaggio a un’opera che lo ha sedotto, senza preoccupazioni riguardo a un genere, quello musicale, che troverà non poche diffidenze da parte dei fan abituali. Tuttavia mentre il musical di Sondheim è più tendente al grottesco che al tragico, e lascia trasparire vivaci sfumature comiche, la trasposizione cinematografica di Burton e Johnny Depp (nella parte del barbiere) piega quasi inaspettatamente verso l’horror cupo e senza speranze. Se le scene del taglio della gola a ritmo di musica con il sangue che schizza fino al soffitto appaiono una danza umoristica, l’immagine e il tonfo dei corpi che cadono dalla micidiale poltrona di Todd giù nella cantina rompendosi l’osso del collo, contribuiscono a spegnere il riso e a suscitare una certa inquietudine. Solo l’interpretazione di Sacha Baron Cohen (l’ex Borat), con il suo istrionismo e il suo spassoso accento italiano, riesce a strappare risate convinte.

Johnny Depp
 
Il personaggio di Todd presenta molte analogie con quello di Edward mani di forbice. Ma sono affinità che si fermano alla superficie. Sweeney Todd, diversamente da Edward mani di forbici, non offre nessuna consolazione, neanche quella nera in stile burtoniano dei suoi eroi di plastilina. L’immagine di Todd, più volte riproposta da Burton, è quella di una personalità inafferrabile, che appare rifranta in varie schegge da uno specchio rotto. Todd è povero e ingenuo. Quando uccide senza saperlo la sua amata, capiamo che non ha mai smesso di recitare la parte della vittima. Per quanto si agiti, per quanto sia buono o malvagio, per quanto distrugga o crei, egli non è l’artefice del proprio destino. Questa nota tragica permette di farci sentire più vicino un personaggio che altrimenti rimarrebbe estraneo allo spettatore. L’unico vero sentimento che Burton racconta è l’amore di Mrs. Lovett (Helena Bonham Carter) per il barbiere. Ma anche questo si dimostrerà in fondo crudele. Foolishness e naïve, ingenuità e stupidità, sono le colpe di Todd. Così come è stato ingannato dal terribile giudice, allo stesso modo sarà ingannato anche da Mrs. Lovett. Prima dal potere e poi dall’amore.

Burton riesce a recuperare il senso di crudeltà della storia originale in cui il mondo vittoriano, con la sua rivoluzione industriale, la fiducia nel progresso e nella crescita economica, finisce per divorare se stesso. Gli avventori insieme ai pasticcini mangiano non solo pezzi di carne umana, ma si nutrono della loro stessa bramosia di denaro. Un cannibalismo della merce sulla merce. Mrs. Lovett che inizialmente per i suoi dolcetti utilizzava solo gatti e pane, grazie all’attività di Todd ha molta più carne a disposizione, e il suo pie-shop riscuote un grande successo. L’uomo mangia l’uomo, negli affari e nella vita quotidiana. «We all deserve to die./ Because the lives of the wicked should be/ Made brief. For the rest of us, death/ Will be a relief». (Noi tutti ci meritiamo di morire. Perchè la vita dei malvagi deve essere abbreviata. Mentre per gli altri la morte sarà un sollievo). Homo homini lupus. La sopravvivenza e la sopraffazione diventano le uniche spinte veramente reali del dramma.

Burton a questo punto della sua carriera forse sente di poter arrischiare qualcosa di più. Il suo intento è non tanto compiacere il pubblico, ma realizzare - come lui stesso ha affermato - «un film muto accompagnato dalla musica», dimostrare il suo amore per il cinema, soprattutto quello in bianco e nero, muto ed espressionista. Per questo l’astrazione del film è portata all’eccesso, fino a costruire un mondo di incubi in formato cartapesta, una Londra vittoriana tenebrosa che rispecchia l'interiorità dei personaggi. Il volto di Depp è congelato in una maschera inespressiva che sottolinea il carattere di estraneità e indifferenza di Todd rispetto a quello che gli accade. La voce e il canto di Depp, dalle tonalità basse, monotone e rock metal, molto lontane da quelle di un basso baritono professionale, si adattano perfettamente al personaggio voluto da Burton e garantiscono incisività a Todd.

Il film è anche un omaggio a Federico Fellini: le scenografie di Dante Ferretti, il rapporto con l’attore feticcio Depp che ricalca quello Fellini-Mastroianni, la costruzione di un mondo che ha importanza non per quello che realmente è ma solo per quello che simboleggia. Il messaggio di Burton si è fatto cupo e privo di finalità. Il rischio tuttavia è che il suo film (o il suo cinema) finisca per avvilupparsi su se stesso, diventi un balocco ricercato e affascinante, ma, in conclusione, autoreferenziale e inoffensivo.


Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street
cast cast & credits
 


 

Tim Burton
 


 


 

 





 

 



 

La locandina (particolare)
 

 

 
 
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