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L'ingenua coralità dell'infanzia

di Sara Mamone
  Avaze Gonjeshk-ha
Data di pubblicazione su web 17/02/2008  
Leggero come una favola, saggio come un apologo il film di Majid Majidi conferma la vitalità della cinematografia iraniana, la sua specifica grazia nel raccontare con mano lieve e con occhio apparentemente ingenuo la realtà complessa del vivere. Non sempre il peso è segno di profondità, a volte la grandezza si cela tra le pieghe della semplicità e della leggerezza (vedi Happy Go-Lucky).
A garantire della cosciente scelta stilistica (oltre al passato del regista candidato all’Oscar nel 1999 per I bambini del cielo) sta già il titolo, traducibile forse con La ballata dei passeri e l´andamento apparentemente ondivago ma in realtà ben puntato sulla "dimostrazione morale".



Karim, protagonista assoluto interpretato con vigore quasi testimoniale da Reza Naji, vive una vita modesta tra affetti familiari, rapporti di buon vicinato e un lavoro massacrante ma dignitoso: è guardiano di struzzi. In una vita semplice come la sua anche la fuga di uno struzzo può essere un trauma. Licenziato e insieme afflitto dalla perdita dell’apparecchio auricolare per la figlia sordomuta il poveruomo non vede via di scampo se non nella discesa in città, con il suo scassato motorino, ad ingrossare le file dei disperati che vivono di lavoretti occasionali.



Il cambiamento di ritmo tra la vita campestre e l’affannato e incomprensibile caos della capitale segna un cambiamento nella sua personalità. Mettendosi al servizio di frettolosi uomini d’affari che saltano istericamente sul suo motorino facendosi trasportare nella giungla della città Karim scopre modi assolutamente nuovi di sostentamento. Diventa un trasportatore regolare: di giorno discende in città, di sera risale verso la campagna con oggetti di discarica che possono essere utilmente riciclati (si veda il bell’episodio della sostituzione dell’antenna televisiva sul tetto di casa). Però pian piano gli oggetti perdono il loro rapporto con la funzione e si accampano per sé stessi in una sorta di accumulo irrelato che gli fa smarrire il senso dei rapporti anche personali. Una sorta di furia tesa e accumulatoria si sostituisce alla delicata attenzione ai rapporti umani fino a che una provvidenziale disastrosa caduta dalla piramide di oggetti insensatamente accatastati lo riporta all’immobilità, alla riflessione, alla pacatezza di un tempo. Mentre giace immobile con la gamba ingessata un vicino arriva ad annunciare il ritorno dello struzzo.



Tutto qui? No, non tutto qui. Ci sono i paesaggi che si fanno personaggi (quello naturale della campagna e quello artificiale della città), i piccoli episodi di appoggio (incantevole quello dei bambini e del loro sogno di vuotare la cisterna per riempirla di pesci rossi), il senso della semplicità del vivere e (in un festival in cui i bambini abbondano, piccoli protagonisti inseriti nel tritacarne dell’industria) quello del rispetto dell’ingenua coralità dell’infanzia

Avaze Gonjeshk-ha

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