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Un esperimento di teatro

Gherardo Vitali Rosati
  Claudio Morganti
Data di pubblicazione su web 13/02/2008  
Si può partire da un noto testo del Novecento, sostituirne tutte le parole, ma conservarne la struttura drammaturgica e lasciare quindi che il teatro «accada»? È questa la domanda che si pone Claudio Morganti nel prologo del suo L’amara sorte del servo Gigi, che altro non è che una re-interpretazione dell’Ultimo nastro di Krapp, scritto da Beckett esattamente cinquant’anni fa, nel 1958. L’attore esordisce con questo quesito teorico e precisa che lo spettacolo sarà piuttosto una prova, un esperimento, che permetterà forse di trovare una risposta. Mentre dice queste cose si imbianca di farina il volto e i capelli, per poi dirigersi al classico tavolino di Krapp e dare quindi inizio alla rappresentazione.

Ecco dunque che il protagonista qui si chiama Gigi, non mangia banane ma fette di prosciutto, e anziché sbucciare accuratamente il frutto delle Americhe prima di metterselo in bocca, dedica la stessa cura nel tagliare il lardo dal suo affettato. Non usa più «bobine» per registrare la sua voce, come vorrebbe Beckett, ma «nastrini», e così molti oggetti sono sostituiti come pure molte delle parole che Gigi-Krapp pronuncia. Ma certo non cambia molto: la struttura drammaturgica è effettivamente conservata. E dunque, effettivamente, alla fine il teatro «accade», grazie soprattutto alle straordinarie doti attoriali di Morganti, capace di mantenere la tensione scenica anche nei lunghi silenzi e nella posizione quasi immobile in cui è costretto.

L’«esperimento» è dunque riuscito, resterà poi da valutarne il significato. Morganti si interroga sulla differenza fra «testo» e «drammaturgia»: come in un esercizio scientifico vuol dimostrare che si può sostituire il primo termine lasciando il secondo invariato. Benissimo. Quando si riprende esattamente la stessa struttura di un testo, cambiando solo piccole cose, e si fa una buona messinscena, si raggiunge effettivamente un risultato «teatrale» capace di comunicare qualcosa al pubblico.

Bisogna però dire che questo ce lo immaginavamo; che non ci pare una scoperta molto originale, che anzi ci pareva che già da tempo Carmelo Bene fosse arrivato molto più avanti, non limitandosi a sostituire le banane col prosciutto, ma sconvolgendo totalmente i testi pur mantenendone intatto non già la drammaturgia, ma il senso generale dell’opera.  Allora la «scoperta» di Morganti ci pare un po’ tardiva. Come chi al giorno d’oggi realizzasse una nuovissima macchina da scrivere. Senza contare, ovviamente, che l’estrema ricchezza del testo di Beckett è in parte perduta, malgrado che tecnicamente, l’«esperimento» possa dirsi riuscito.




L’amara sorte del servo Gigi
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