Sotto laccurata direzione di Gustav Khun la ripresa di Die Frau ohne Schatten (La donna senzombra) di Richard Strass, su libretto di Hugo von Hofmannsthal ha riacceso i riflettori allopera Bastille di Parigi. Si tratta della ripresa delledizione curata qualche tempo fa da Robert Wilson regista scenografo e, in questo caso determinante, maestro delle luci. Perché determinante? Perché si tratta di unopera non facile da accettare al gusto e alla sensibilità moderna per la sua posizione ideologica, cioè per l‘assunto ideologico di Hoffmannsthal che come spesso succede ai dissipatori in giovinezza, diventò in maturità custode dei più “Sacri” e “ipercorretti” zeli integralisti.
E così, con una posizione da far impallidire i moderni assoluti ratzingeriani, Hofmannstahl proclama lesistenza dellanima ben prima del concepimento della vita, in una potenzialità indefinita e obbligatoria che rende peccato (siamo ancor più chiari: delitto di infanticidio) la negazione volontaria della paternità e della maternità. Benché splendidamente travestita dalle musiche di Strauss e dallinvenzione di un libretto che trasfigura lideologia nel mondo del mito rendendo facile laccettazione della Donna senzombra come riscrittura erudita in chiave mistica del Flauto magico, nonostante questa possibile via di fuga, lideologia dellopera pesa non poco.
Ed è per questo che la regia di Bob Wilson (ricordiamo, tra laltro allestitore anni fa di un non troppo dissimile Flauto mozartiano proprio per lopera Bastille) appare felice e preziosa: perché alleggerisce e rende impalpabile il pesante assunto, perché dà alla coppia “terrena” del tintore e di sua moglie e alla coppia “alta” dellimperatore e dellimperatrice una visualità codificata e disincarnata, comunque non realistica, intrisa degli elementi purificatori di un teatro astratto e orientaleggiante.
Un Bob Wilson forse di maniera, ma che qui funziona magnificamente: basti pensare alle astratte traiettorie dei personaggi, che non si incontrano mai, che percorrono ciascuno la strada di un individuale cammino di formazione e di accettazione del proprio destino, fino al sacrificio che la meravigliosa protagonista fa della propria ombra appena conquistata, ma immediatamente restituita per non commettere un sopruso. E basti ancora pensare alla stupefacente leggerezza di Eva Maria Westbroek che percorre il cammino della propria discesa in terra con una immaterialità che rende ancora più sublime il suo canto. O, infine, alla più insidiosa apparizione dei fanciulli mai nati (o non ancora nati) che il regista risolve in un inno alla vita fatto di gioia e di semplicità, in una luce cosi pura da diventare, essa stessa, immagine visibile della trascendenza.
|
|