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Il gioco delle parti

di Marco Luceri
  Lussuria
Data di pubblicazione su web 12/01/2008  
La Mostra di Venezia targata Muller porta una gran fortuna ad Ang Lee, il regista cino-americano due volte Leone d’Oro in tre anni, nel 2005 con la love-story tra cowboy gay ne I segreti di Brokeback Mountain, quest’anno con la torbida storia di sesso e spionaggio dell’ultimo Lussuria. Premi assegnati nelle due edizioni non senza uno strascico di polemiche, a volte molto dure, ma si sa, pare che Ang Lee benefici forse più di ogni altro del vento d’Oriente che soffia sulla Mostra da quando è salito in sella l’attuale direttore, grande appassionato del cinema asiatico.


 

Polemiche a parte, forse si potrebbe spezzare una lancia in favore di Ang Lee visto che il suo film, comunque tra i più apprezzabili tra quelli presentati quest’anno nell’eterogeneo concorso, "asiatico" non lo è poi così tanto. Lontano infatti dalle coeve atmosfere rarefatte e violente del cinema coreano e giapponese, più vicino al cinema cinese commerciale che a quello d’autore (si veda la distanza dal Leone d’Oro 2006, un altro cinese, Still Life), Lussuria è piuttosto un lussuoso ed effettato melodramma in costume in pieno stile hollywoodiano; in salsa cinese, naturalmente, visto che il film si avvale una grande star del momento (Tony Leung, volto simbolo del cinema di Wong Kar-Wai) e contemporaneamente ne lancia un’altra (Tang Wei), le unisce in una Cina in gran parte ricostruita in studio, durante l’occupazione giapponese, tra il 1939 e il 1942.


 

Sono forse sufficienti questi elementi, ben giostrati da una mano esperta e sempre tutto sommato convincente come quella di Ang Lee per garantire a Lussuria un giusto equilibrio formale, una buona carica di emotività, ottenuta grazie ad un montaggio quasi "invisibile"(nonostante il lungo flashback, che costituisce più della metà del film), un plot da spy-story sapientemente guidato secondo un modello classico: la giovane spia rivoluzionaria che seduce il maturo uomo di stato (un collaborazionista al soldo dei giapponesi), la storia di amore e di sesso, lo scioglimento finale, con il tragica morte di uno dei due amanti, tradito proprio a causa dell’altro: mors tua, vita mea all’ombra della rivoluzione, insomma.

Purtroppo è questa in gran parte la zavorra che non permette al film di innalzarsi al di sopra di un modello piuttosto logoro e prevedibile, e non bastano certo le "bollenti" scene di sesso, magistralmente interpretate (questo sì) dai due attori protagonisti, per risollevare il tono piuttosto piatto del film, lungo un asse narrativo denso di avvenimenti, ma privo sostanzialmente di colpi di scena. Anche l’uso dell’ellissi temporale viene modellato per non creare il minimo "disturbo" agli occhi dello spettatore e alla sua capacità di ricostruire in maniera lineare ogni passaggio della vicenda rappresentata.


 

Lussuria sembrerebbe così solo una sorta di "compitino ben fatto" dal solito Ang Lee, se non avesse però almeno un elemento molto interessante e cioè il rapporto tra il personaggio della ragazza e l’interpretazione data da Tang Wei. La vicenda della giovane infatti inizia in teatro, quando l’inesperta studentessa si scopre un’ottima attrice mentre la compagnia di amici dilettanti mette in scena un dramma patriottico. Senza soluzione di continuità, è proprio lei ad essere scelta qualche tempo dopo per la missione: fingere di essere una donna dell’alta borghesia per sedurre il nemico da uccidere. La sua recita, il suo ruolo di attrice continua quindi, senza nessuna scossa per tutto il film, e l’unico colpo di scena, quello che porta poi alla tragedia finale, cioè il ribaltamento di questo gioco delle parti, avviene quando lei per l’unica volta in tutta la vicenda, non riesce a reggere la parte scritta per lei da qualcun altro. Non è un caso infatti che la penultima scena del film, quella dell’esecuzione capitale, sia l’esatto contrario di quella recitata in teatro la prima volta. Questa metafora del ruolo dell’attore nel film è resa alla perfezione dalla performance di Tang Wei, che infatti imprime al suo registro interpretativo una continuità tra i vari livelli finzionali del personaggio davvero sorprendente: che sia fuori o dentro uno dei tre ruoli interpretati contemporaneamente ella riesce ad annullare ogni differenza e a rendere perciò molto credibile ed accattivante, in una sorta di iperrealismo, questa vicenda altrimenti destinata al piatto valore da prodotto medio.



Lussuria
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