drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

I suoni del realismo

di Marco Luceri
  "L'urlo"
Data di pubblicazione su web 25/10/2007  
L’urlo, presentato in anteprima al Festival di Avignone nel 2004, è l’ultimo spettacolo con cui il regista Pippo Delbono sta calcando le scene italiane e internazionali da più di due anni, ed è, a scanso di equivoci, uno spettacolo memorabile. Lo scrivo con convinzione, in uno stato emozionale, e, una volta tanto, da semplice spettatore. Forse non bastano i tanti occhi lucidi che alla fine hanno riempito il poco affollato foyer della Pergola di Firenze, e forse non basta neanche quel sipario che non si chiude, come non si era aperto all’inizio, per trascinare via corpi, suoni, odori da urlo, appunto.

Tracce dell’avanguardia, verrebbe da dire, perchè il sipario che non si apre, e che è già aperto dunque, è una presa di posizione diretta: la contiguità tra palcoscenico e platea, quel legame che allontana il mondo della "finzione" da quello "reale" sembra essere non annullato, certo, ma sospeso, come in un incubo sotterraneo che fa del presunto realismo un caleidoscopio dell’anonimità moderna, dove affondare lo sguardo ed essere guardati. La scenografia, che crea a sua volta un secondo palcoscenico, dai colori spenti, morandiani quasi, è uno spazio senza luogo, crea una falsa unità, smentita dallo sviluppo della visione; le scene sono infatti condensate in quadri che si susseguono con precisione brechtiana, introdotti dalla voce off di Umberto Orsini, che racconta, con gravità e pathos, la storia di un uomo solo davanti al mondo.

L'Urlo
L'Urlo
 
Questo continuo scambio tra realismo e finzione (che costituisce di per sé già una riflessione stessa sul teatro e sul significato di ogni rappresentazione) investe lo spettacolo sin dalla prima scena: la tavola bandita e gli attori commensali, che in una confusione sonora si sovrappongono alla voce di Orsini, fanno da apripista alle ombre che, come in una scarna ritualità, si mettono in scena davanti al pubblico, che osserva di volta in volta, come dal buco di una serratura, ciò che accade dentro le pareti "impenetrabili"di questo carcere. La voce off quindi non funge solo da commento, ma accentua quella frattura tra realismo e finzione su cui si gioca il registro dell’intero spettacolo: l’ uso poetico del sonoro permette a Delbono di eliminare la parola drammatica, o meglio di trasformarla in suono, appunto, o sarebbe meglio dire in un indistinto tappeto di sonorità che vanno dall’urlo al pianto, dal riso alla musica stessa, suonata in scena da Giovanna Marini e dalla banda di Testaccio.

Il senso alto di questo svuotamento del dramma sta proprio nel riproporlo sotto forma di scheletrico panorama di una società, quella italiana, che si (auto)flagella: la ricca donna che si compiange e affoga nella propria ricchezza, i giovani succubi dell’omologazione e della superficialità, il demente chiuso nella camicia di forza, impotente di fronte alla telecrazia, il prelato ridotto ad alto fantoccio di pezza, fino alla mitologia cristiana dell’ecce homo; in quella che è forse la scena più forte e dissacrante dell’intero spettacolo, con un corteo funebre che intona un canto siciliano della Passione, un uomo agonizzante, in panni cristologici, trasforma il mito della morte in una macabra danza, in una serie di movimenti scenici che trasformano l’attore in un’immagine, densa di una carica espressionista degna del magistero di Pina Baush: ogni caduta sembra un agghiacciante tonfo nel buio.

L'urlo
L'urlo
 
Il quadro fosco regala però alla fine, in questo circo vivente di attori, nani, ballerine, saltimbanchi e folli, la dolcezza infinita di una scena che condensa in sé tutto il misero splendore dell’intero spettacolo, con un uomo e un bambino che si passano la palla, su quel red carpet che fino ad allora era stato il teatro delle peggiori umiliazioni e delle più tristi vicende umane. Questa scena, unita alla dedica alla madre, ricompone quella frattura tra realismo e finzione su cui aveva giocato Delbono, proiettando in una sorta di mitologia personale l’intero urlo, e riconducendo a se l’intera triste parabola dell’(auto)rappresentazione. Alla fine, quando su questa baraonda poetica si spengono le luci, si ha la sensazione di aver assistito a uno dei più impietosi e potenti ritratti sociali ed umani che il teatro italiano ha concepito negli ultimi anni, una ronde che scalfisce e distrugge le grigi pareti del carcere delle nostre coscienze. Il palcoscenico resta lì, vuoto, come era all’inizio, come se questa allucinazione corale non fosse altro che un breve intermezzo tra il dolore e la memoria.



L'urlo
cast cast & credits
 

Pippo Delbono
Pippo Delbono




 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013