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Ingannare il tempo

di Alessandro Tinterri
  Quartett
Data di pubblicazione su web 09/10/2007  

Nella Sala sala dei Carabinieri della storica Residenz di Salisburgo domenica 11 agosto è andato in scena Quartett di Heiner Müller (1929-1995), forse il testo più rappresentato del drammaturgo allievo di Brecht, figura scomoda della RDT, che dopo la caduta del muro fece ancora in tempo a divenire direttore del Berliner Ensemble. Quartett, scritto da Müller nel 1982, condensa nello spazio di un atto unico di un’ora e venti minuti (tale la durata dello spettacolo salisburghese) la materia de Le amicizie pericolose (Les Liaisons dangéreuses) che Pierre Choderlos de Laclos aveva scritto due secoli prima, nel 1782, alla vigilia della Rivoluzione francese, per stigmatizzare il vuoto morale che si celava dietro il libertinismo di una classe sociale al suo tramonto. Quartetto di personaggi, gli stessi del romanzo epistolare di Laclos (la marchesa di Merteuil, e il visconte di Valmont, in primis, ma anche la giovane Volanges e madame de Tourvel ), affidati, però, a due soli interpreti: in questo caso Barbara Sukowa e Jeroen Willems, debitamente microfonati per sopperire all’acustica del luogo e pronti a incrociare le lame in un duello verbale senza esclusione di colpi, ma anche a scambiarsi i ruoli, accrescendo l’ambiguità di un testo che è anche uno scontro fra i due sessi.

 

Jeroen Willems (Valmont)
Jeroen Willems


 
Circa trecento spettatori siedono ai lati di una pedana luminosa lunga una trentina di metri, creata dalla scenografa Bettina Meyer, che diventa ora la tavola ai due capi della quale si fronteggiano (a distanza ‘epistolare’) i due protagonisti, ora la passerella su cui sfilano in una sorta di defilée nei costumi di Bettina Walter: la Sukowa in calzoni maschili sotto l’ampia crinolina, il petto costretto in un rigido corsetto e i capelli raccolti, pronti a sciogliersi in una folta criniera leonina, lui, Willems, stivaletti e completo grigio tortora, un vezzo di perle intorno al collo, non suggerisce nulla di settecentesco, ma ostenta, piuttosto, l’andatura dell’indossatore. Non c’è colonna sonora a sostenere l’azione, che poggia tutta sulla parola e la bravura dei due interpreti, cui basta indossare la crinolina per scambiarsi i ruoli, scambio che coincide talvolta con il momento di maggior tensione del personaggio, costringendo l’attore a un difficile passaggio al limite del virtuosismo.

Il tempo è uno dei temi di Laclos: ammazzare il tempo, ieri la principale occupazione di un’aristocrazia al tramonto, quanto oggi, a due secoli di distanza, sembra voler suggerire Müller, di una borghesia che ha del pari esaurito la sua funzione storica, perduto ogni slancio vitale. Lo dice Valmont: «La nostra elevata professione è ammazzare il tempo. E’ un compito assorbente: ce n’è troppo, di tempo. Chi potrebbe fermare gli orologi del mondo, facendo rizzare le loro lancette? L’eternità come erezione permanente. Il tempo è il buco dela creazione attraverso il quale passa l’intera umanità. Per il popolo, la chiesa ha riempito questo buco con Dio; noi sappiamo che esso è nero e senza fondo. Quando la plebe se ne accorgerà ci getterà dentro». Il tempo significa anche la distanza di due secoli che intercorre tra Laclos e Müller. E il drammaturgo tedesco nell’utilizzare l’aura dei personaggi letterari, non solo precede di qualche lunghezza la più celebre delle rivisitazioni cinematografiche, quella di Frears, che è del 1988, ma vi introduce molto del suo, declinando la variantistica moderna delle relazioni interpersonali di carattere sessuale, senza mai indulgere alla volgarità o, peggio, alla pruderie.


Barbara Sukowa (Merteuil), Jeroen Willems (Valmont)
Jeroen Willems e Barbara Sukowa


C’è, inoltre, anche un livello metateatrale nella pièce di Müller, che emerge quando Valmont dice: «Che? Recitiamo ancora!». E Merteuil risponde: «Recitare? Che altro si può fare?». Non sono tanto i personaggi a parlare, quanto gli attori che li interpretano ed ecco che il gioco teatrale e gli spettatori che vi partecipano si trasformano in un’altra variante per ingannare il tempo. Non fosse per la presenza di Willems, che, però, agisce da cartina di tornasole, questo Quartett lo si potrebbe dire declinato al femminile, a partire dalla regia di Barbara Frey, che, come ha scritto Christine Dössel sulla «Süddeutsche Zeitung», (complice l’assistenza drammaturgica di Laura Olivi) ha dato una lettura distanziata e a mente fredda del testo di Müller, volta soprattutto a indagare il «lato oscuro della ragione», con un richiamo a Goya, che era poi anche il tema scelto del Festival di Salisburgo di quest’anno.











Quartett
cast cast & credits
 



Barbara Sukowa
Barbara Sukowa

 

 
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