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Repertori ritrovati

di Giovanni Fornaro
  Festival della Valle d'Itria 2007 - Salomé
Data di pubblicazione su web 07/09/2007  
Consueto appuntamento estivo con l’opera lirica di qualità, il Festival della Valle d’Itria di Martina Franca si è svolto questo anno dal 19 luglio all’8 agosto e si mosso, secondo una prassi ormai consolidata, nel segno del recupero di opere dimenticate dal repertorio “di giro”, o di edizioni particolarmente rare di titoli più noti. “Serbatoi” privilegiati per questo genere di operazioni (benemerite, perché tendenti in modo programmatico a svecchiare il chiuso mondo del melodramma italiano) sono, per il direttore artistico Sergio Segalini, il teatro musicale barocco e settecentesco, nonché quello del Novecento storico.

Dopo la pregevole scrittura musicale di Achille in Sciro (19 e 21 luglio), del compositore pugliese Domenico Sarro, con la quale fu inaugurato il Teatro San Carlo nel 1737, l’orizzonte del festival si è spostato, per i due appuntamenti lirici successivi, sul primo Novecento.


Salomé
Salomé

Titolo molto noto di Richard Strass, Salomé, dramma musicale in un atto (22 e 24 luglio), presenta alcuni motivi di interesse e qualcuno di delusione. Si tratta, relativamente al testo, dell’originale in francese - ampiamente “tagliato” da Strauss - scritto da Oscar Wilde e tratto da Hérodias, uno dei Trois comptes di Gustave Flaubert, la cui versione tedesca è la Salomé che tutti ricordano (1905). Strauss ne riscrisse la partitura nel 1907, modulando le frasi e l’ordito musicale sui diversi accenti e sonorità del francese, rendendone una trasposizione affatto differente. Questa Salomé è resa più sensuale dalla lingua ma forse perde qualcosa in immediatezza. Rimane la strutturata partitura del genio di Monaco, soprattutto nella fascinosa scrittura degli fiati e nelle lunghe note tenute degli archi, una gioia per le orecchie del pubblico del Valle d’Itria che, infatti, ha mostrato di gradire molto la lettura e l’azione musicale dell’Orchestra Internazionale d’Italia diretta da un attento Massimiliano Caldi.

Qualche perplessità può suscitare l’allestimento scenico (di Karen Hilde Fries, suoi  anche i costumi, che rimandano ad un Novecento militarizzato fra le due grandi guerre) e la lettura del regista Alexander Edtbauer: sul palco una doppia pedana, che nasconde una segreta in cui è detenuto il profeta Jokanaan, un separé e un’enorme luna. Scarno ma, a mio parere, efficace. È chiaro il simbolismo rappresentato dall’analogia luna-donna, un aspetto della femminilità di Salomé che evidentemente, nei suoi tratti algidi e castranti, è socialmente e psicologicamente destabilizzante. Mi sembra invece che, in questa lettura, la vicenda della figlia di Erode e Erodiade sia stata correttamente delineata nei suoi tratti di sinistro e freddo cinismo: non dimentichiamo che la principessa di Giudea, respinta dallo stesso Jakanaan, non solo ne pretende l’esecuzione capitale ma, dopo, lo bacia sulla bocca con voluttuoso e necrofilo erotismo, tenendone per i capelli il capo mozzato. Altro che sensuale danza dei sette veli! La quale, però, sebbene priva di vera sensualità (coerentemente con la lettura che si è voluta dare), sarebbe stata più credibile se, come da ragionevole prassi, fosse stata eseguita da una vera danzatrice, piuttosto che dal bravo (localmente) soprano leggero Sofia Soloviy nel ruolo del titolo, dal netto e piacevole timbro. Ottima la vocalità di Leonardo Gramigna (Erode, tenore), da apprezzare anche per le qualità interpretative, sempre brava Francesca Scaini (Erodiade, soprano), un po’ discontinui gli altri cantanti (Costantino Finucci, Vincenzo Maria Sarinelli, Francesca De Giorni).


Marcella
Marcella

Un doppio filo tematico lega la produzione di Salomé all’allestimento operistico successivo, Marcella di Umberto Giordano (1907) insieme con Amica di Pietro Mascagni (1905), presentate il 4 e 6 agosto. La Francia, ancora una volta: dopo l’opera di Strauss, quella del compositore foggiano (“idillio in tre episodi”) presenta un libretto tratto da un dramma di Henri Cain e Edourd Adenis, tradotto da Lorenzo Stecchetti, che si svolge tra Parigi e la campagna francese; fa il paio con Amica che, oltre all’ambientazione, presenta anche il libretto nella lingua di Molière, grazie al primo committente, monegasco.

Secondo elemento in comune fra le tre opere è ovviamente la Donna: si tratta di storie costruite ed equilibrate sulla protagonista femminile, pur se in tre articolazioni completamente diverse. Marcella, interpretata da Serena Daolio (soprano) calata molto bene nella parte, è la riluttante “operatrice” di un elegante bordello, salvata da un principe ereditario straniero (il ragguardevole tenore Danilo Formaggia) che, sotto mentite spoglie e per amore, la “adotta”, fino a che il dovere di stato farà la sua inesorabile comparsa e lei sarà definitivamente abbandonata perché sarebbe apparsa “poco rappresentativa” al fianco di sua maestà.


Marcella
Marcella

Il plot di Marcella non è certamente fra i più intriganti e articolati del melodramma italiano, nemmeno di quella Giovane Scuola ai cui intenti artistico-programmatici Giordano aderisce. Eppure, a tratti, ci si commuove per l’idillio fra i due protagonisti, grazie anche alla indovinata scelta (dell’attento regista Alessio Pizzech) di rappresentare il rapporto fra i due protagonisti in modo molto intimo, di cui l’aspetto prossemico e tattile costituisce un tratto caratteristico e irrinunciabile. Interessanti le scene di Michele Ricciarini e belli i costumi belle epoque di Sandra Trauttmansdorff. Fra le vocalità, molto espressive ed emotive - come deve essere in Giordano e nel Verismo in genere  - ma non prive di finezze stilistiche e di colore, si sono distinti Pierluigi Dilengite, Natalizia Carone, Angelica Girardi, Mara D’Antini, Maria Rosa Rondinelli, Marcello Rosiello. Buona la guida dell’Orchestra Internazionale d’Italia da parte di Manlio Benzi; molto preciso e ispirato il Coro Slovacco di Bratislava diretto come sempre da Pavol Prochazka.

Diversamente da Salomé e Marcella, in una ambientazione montanara, sospesa nel tempo immoto e indefinibile delle classi subalterne, il sentimento amoroso per la protagonista (omonima) di Amica, contesa da due fratelli adottivi nessuno dei quali è realmente in grado di amarla, troverà soluzione purificatrice allo scontro familiare con la morte sulle scivolose rocce del greto di un torrente.


Amica
Amica

Qui Mascagni, diversamente da Giordano, la cui dimensione è più raccolta e intima, si impegna a sperimentare soluzioni musicali e vocali nuove: un’attenzione al sinfonismo che si traduce in una maggiore densità della materia sonora, nonché un trattamento delle parti per voci che tende a diluire le arie e i numeri chiusi in un unico flusso sonoro, anziché presentarlo scorporato in parti e sezioni distinte, come fa acutamente notare Giancarlo Landini nel bel saggio contenuto nel libro di sala.

La bacchetta di Benzi, alla guida della stessa orchestra, rende con competenza queste importanti caratteristiche, in prima rappresentazione in tempi moderni della versione originale in francese e in confronto diretto con la coeva partitura, appena ascoltata, di Giordano. Appare invece poco incisiva, forse perché modulata su Marcella, la scenografia di Michele Ricciarini e i costumi, sempre della Trauttmansdorff. Bene il Coro Slovacco di Bratislava.

Le voci, così importanti per il Verismo di Mascagni, non sono apparse totalmente adeguate agli intenti innovativi del compositore di Livorno, pur lasciandosi apprezzare per brio e freschezza (il soprano Anna Malavasi, nel ruolo di Amica; il baritono Pierluigi Dilengite in quello del germano Rinaldo) oppure per accorta compenetrazione nel ruolo (il tenore David Sotgiu nei panni dell’altro fratello, Giorgio). Bene gli altri cantanti Marcello Rosiello e Francesca De Giorgi.
Amica
Amica


Un’ultima considerazione di carattere generale sul festival: mai come questo anno ho avuto l’impressione che il tempo dell’opulenza sia tramontato. È palpabile come la contrazione (peraltro generalizzata) delle risorse finanziarie nel settore dello spettacolo dal vivo si traduca non solo in allestimenti più poveri - nulla a che vedere con le macchine, le scenografie, i costumi di rappresentazioni recenti, anche nella stessa Martina Franca - ma incida anche sulla creatività degli stessi artisti, che si stabilizzano evidentemente sul “già visto” senza osare soluzioni inedite e innovative: tale, per fare solo un esempio, l’allestimento di Davide Livermore per Achille in Sciro il quale, utilizzando in un’opera settecentesca raggi laser per disegnare in modo estemporaneo scenografie e fondali, non ne ha sfruttato appieno le potenzialità evocative e suggestionanti, deludendo i suoi molti estimatori (fra i quali mi annovero).

 



Salomé

"Salomé", dramma musicale in un atto di Richard Strauss
cast cast & credits
 
trama trama
"Marcella", idillio moderno in tre espisodi di Umberto Giordano
cast cast & credits
 
trama trama
"Amica", poema drammatico in due atti di Pietro Mascagni
cast cast & credits
 
trama trama



 
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