Per il suo primo film da regista, uno degli esordi italiani più maturi degli ultimi anni, Andrea Molaioli aveva apparecchiato bene la tavola: una produzione blindata con alle spalle Medusa e Sky, una sceneggiatura di gusto durrenmattiano trasposta nelle montagne del Friuli da uno dei migliori sceneggiatori in circolazione (Sandro Petraglia), forse il più grande attore italiano (Toni Servillo) come protagonista e un cast di contorno ricco di nomi eccellenti (tra gli altri Valeria Golino, Fabrizio Gifuni e Anna Bonaiuto).
La ragazza del lago è un racconto poliziesco con pochissima azione e moltissima psicologia, ambientato in un piccolo villaggio friulano dove sulle sponde di un lago viene rinvenuto il cadavere di una bellissima ragazza del luogo, appena maggiorenne ed ex campioncina di hockey sui ghiaccio. Ad indagare viene chiamato da Udine il commissario di polizia Giovanni Sanzio (Servillo), uomo scontroso e di poche parole, che vive solo con la figlia da quando la moglie (Bonaiuto) si è ammalata di Alzheimer.
Valeria Golino
La piccola città di provincia, come vuole la tradizione letteraria, si rivela un microcosmo chiuso ma anche una galleria umana dove si aggirano psicologie complesse: il matto del villaggio, la sorella gelosa della vittima, la coppia che ha perso il figlio, lallenatore di hockey maneggione, il misterioso ragazzo della vittima. Ma Molaioli, già assistente di Nanni Moretti, e Sandro Petraglia, non indugiano sulla follia e lorrore che spesso si ama associare alla provincia, specie nella tradizione americana: questultima nasconde sì sofferenze e segreti, ma del tutto umani, più che altro psicologici, e che emergono in maniera discontinua e quasi inconscia.
Toni Servillo è (verrebbe da dire “ovviamente”) eccezionale nel ruolo del commissario solitario e razionale, una figura rara nel cinema italiano che ricorda il Pietro Germi di Un maledetto imbroglio e ci allontana in maniera salutare dai vari Don Matteo, squadre e distretti di polizia.
Cè anche molto de Le conseguenze dell'amore e di Paolo Sorrentino nel film di Molaioli: dal protagonista allatmosfera rarefatta e “lacustre” alla Dürrenmatt (il cui spirito domina davvero tutto il film), fino alle musiche di Teho Teardo che rimandano inevitabilmente a L'amico di famiglia. E il fatto di suggerire un parallelo con Sorrentino, senza dubbio il più interessante regista italiano emerso negli ultimi 5 anni, non significa diminuire ma anzi valorizzare lesordio di Molaioli.
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