Subentrato a Zubin Mehta, che da qualche tempo pareva adagiarsi su una dorata routine, Kent Nagano ha impresso una svolta alla Bayerische Staatsoper di Monaco: lucidissimo per capacità di analisi e rigore tecnico, interessante più che convincente nei classici tardo ottocenteschi spesso affrontati con un certo riserbo antiemotivo ma sempre fedele alla musa sfuggente della musica contemporanea, il direttore nipponico-californiano ha commissionato, tra stagione invernale e Opern Festpiele estivo, ben quattro ‘prime assolute.
A Wolfgang Rihm, attuale composer in residence a Monaco, è toccato larduo compito di confrontarsi con Beethoven (un suo concerto per fagotto e orchestra è stato abbinato alla Missa Solemnis) e Richard Strauss Per quanto opera di durata medio-breve, Salome, anche nei teatri tedeschi, solitamente fa serata da sola, ma per loccasione ha trovato un eccellente prologo in Das Gehege (‘La voliera): circa quaranta minuti di grandissimo teatro musicale, in cui Rihm sfodera tutte le sue qualità di compositore capace di coniugare densità strumentale e pregnanza della parola cantata, palpabilissima matericità del suono e rarefazione timbrica.
Sempre ansioso di misurarsi con testi letterari impegnativi (il Büchner di Jacob Lenz, lArtaud di Tutuguri, lieder su testi di Hölderlin, più di recente Die Hamletmaschine di Heiner Müller e una Passione secondo San Luca), Rihm non ha trovato questa volta una qualità troppo alta nellambizioso libretto di Botho Strauss: un monologo femminile che occhieggia a Erwartung e La voix humaine, mantenendone però più la buccia uno psicodramma attorno a una donna isterica che i succhi drammaturgici. Il testo, infatti, appare banale nel suo substrato psicanalitico, e anche un po greve nelle metafore che lo contrappuntano. In pratica il delirio di una donna, non più giovane ma tuttaltro che giunta alla pace dei sensi, che sintroduce nottetempo in un giardino zoologico per visitare le gabbie degli uccelli. Trovato un maschio di aquila luccello che in teoria dovrebbe librarsi più in alto di tutti prima inizia a provocare, quasi seduttivamente, il rapace, poi gli apre la voliera. Quando però si avvede che lanimale è vecchio e malconcio, lo uccide.
Da siffatta materia la musica di Rihm ha ricavato uno straordinario spessore emotivo, anche grazie a una scrittura vocale che, nonostante unintervallistica assai insidiosa e loccasionale ricorso al ‘gridato espressionista, approda a uno sprechgesang sconfinante nel cantabile. Lestrema compenetrazione del soprano Gabriele Schnaut in empatia con il mondo musicale di Rihm dai tempi di Die Hamletmaschine, senza essere una mera specialista del repertorio contemporaneo contribuisce allesito eccellente dello spettacolo, mentre il mimo Todd Ford dona plastica fisicità allincarnazione dellaquila e William Friedkin impagina senza danni la parte visiva, al contrario di quanto farà nella seconda parte della serata.
Salome (Foto di Wilfried Hoesl)
Il regista del Braccio violento della legge e dellEsorcista, che già con un Wozzeck a Firenze aveva mostrato scarse attitudini operistiche, tenta in Salome la consueta mescolanza tra ambientazione atemporale e ambientazione moderna. Purtroppo ne sortisce una messinscena convenzionale: mimo onnipresente (forse per non lasciare inutilizzato il bravo Ford dopo la sua bella prova nellopera di Rihm), la torbida principessina Salome trasformata in una sorta di sosia di Lady Diana e laggravante di costumi (realizzati da Petra Reinhardt) antiestetici come pochi. Per fortuna la protagonista Angela Denoke soprano di mezzi non memorabili, ma interprete efficace e concentrata regge bene limpatto scenico: disinvolta sul piano coreografico (si cimenta con ottimi esiti nella danza dei sette veli), riesce a conservare il necessario aplomb vocale anche nelle controscene più ‘distraenti imposte dal regista, come la conturbante masturbazione podalica fatta a Narraboth o la fustigazione inflitta a un Erode masochista e felice.
Iris Vermillion, a sua volta, è unErodiade sorprendentemente fresca: non la solita megera invidiosa dellinsolente giovinezza della figlia, ma una donna piacente che compete con la sensualità di Salomè. Ne consegue, sul piano vocale, uninterpretazione tutta risolta in termini di canto, anziché con il ricorso al declamato e al grido che caratterizzano tante mature Erodiadi di ieri e oggi. Ancor più notevole, se pensiamo alle sue sessantadue primavere, è lo Jochanaan di Alan Titus: il timbro, ovviamente, si è fatto un po ruvido, ma lemissione solidissima, la lunghezza dei fiati e lomogeneità del suono restano un modello per qualunque baritono. Wolfgang Schmidt non si discosta dal cliché dellErode caricato e sopra le righe, ma si direbbe più per limiti vocali che per reale disegno interpretativo. Migliore la prova dellaltro tenore, Nikolai Shukoff, nei panni di Narraboth.
Ciò che comunque rende davvero memorabile la serata, in Strauss come in Rihm, è la concertazione di Nagano. In Salome cerca e ottiene dallorchestra lestrema compattezza del suono più che il vitalismo fonico, sottraendo la partitura a eccessive estenuazioni decadenti e proiettandola, invece, verso il pieno Novecento. Das Gehege, poi, è distillata con una sapienza e un amore che inchiodano lo spettatore alla poltrona. Sembra di trovarsi davanti a unopera del grande repertorio. E se fosse proprio così?
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