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La tempesta degli Dèi

di Elisabetta Torselli
  Das Rheingold – Die Walküre
Data di pubblicazione su web 02/07/2007  

“Tutti vivi laggiù?” era l’ironica apostrofe dei loggionisti alla platea, tanti anni fa quando si faceva Wagner nei teatri italiani, supponendo che “laggiù” fossero storditi dalla sovrabbondanza di suoni e di emozioni della musica, o dormienti come Brunilde dopo l’incantesimo di Wotan, o quanto meno – altra tipica modalità dell’utente wagneriano non perfettamente temprato - in stand-by durante quei lunghissimi monologhi o dialoghi che sono, sì, i veri depositari della filosofia dell’Anello, come Wotan-Brunilde poi Wotan-Fricka e di nuovo Wotan-Brunilde, il secondo atto della Valchiria, però, però, però...

Ma niente di tutto questo è successo questa volta a Firenze. Andavano su le due prime parti del Ring, prologo e prima giornata, Oro del Reno e Valchiria, nell’edizione Zubin Mehta-Fura dels Baus coprodotta dal Maggio Musicale Fiorentino e dal Palau de les Arts “Reina Sofia” di Valencia, dove erano già andati su qualche settimana fa. Tutto esaurito sempre e trionfale l’esito al Comunale, che da lungo tempo aspettava da Zubin Mehta questo suo secondo Ring fiorentino, dopo l’edizione Ronconi-Pizzi di quasi trent’anni fa, giacché l’Anello del Nibelungo è la sfida più affascinante per un teatro. Non solo per l’Oro del Reno – lì è relativamente più facile - ma anche per la sterminata Valchiria, solitamente nota come tomba dei registi, testimoniamo che in capo a cinque ore il pubblico era assolutamente sveglio, come proteso in avanti, in attesa, catturato, gli piacesse fino in fondo o no, nella “meccanica della meraviglia” che la Fura è riuscita a creare, rivitalizzando il concetto wagneriano di opera d’arte totale con il suo linguaggio e stile di teatro contemporaneo.

L'Oro del Reno. Le figlie del Reno e Alberico
L'Oro del Reno. Le figlie del Reno e Alberico



Il risultato è un Ring estremamente nuovo e insolitamente divertente, fra tecnologia, fantascienza, videoarte, persino la realtà virtuale dei videogiochi nel racconto visivo della fuga di Siegmund uomo-lupo, proiettato su un velo trasparente a proscenio per commentare la tempesta orchestrale con cui si apre la Valchiria. Ma il Ring della Fura non è teatro tecnologico e basta, c’è anche un’estrema concretezza di teatro agito e vissuto, con macchine azionate da macchinisti che si vedono, corpi, l’acqua e il fuoco veri. Già Wagner aveva pensato alla possibilità di far volare i suoi dèi, ma le macchine da volo manovrate dai robusti e veloci grueros della Fura – resurrezione della mechané del teatro classico e delle invenzioni scenotecniche della festa teatrale rinascimentale e barocca -  non si contentano di qualche movimento di ascesa e discesa, solenne e composto, e fanno turbinosamente ruotare, librare e ondeggiare Asi e valchirie, fin sulla buca dell’orchestra, fin quasi ai parapetti delle ali delle gallerie. I giganti Fafner e Fasolt sono realmente tali perché issati su grandi protesi metalliche da mostri fantascientifici, che ricordano i carri armati-dinosauri di Guerre Stellari. Anche le discese e ascese degli dèi nel mondo e dal mondo degli uomini sono evocate con lo stile dei classici della fantascienza, Loge viaggia su un monopattino a motore che interpreta con il suo movimento il ronzìo sornione del motivo conduttore con cui Wagner allude al dio-demone inafferrabile, ambiguo e distruttore come l’elemento di cui è il signore. All’inizio dell’Oro del Reno le ondine si rotolano nella vera acqua delle loro vasche cubiche, alla fine della Valchiria un vero fuoco circonda Brunilde, propagandosi fra le fiaccole dei figuranti proni che portano il grande cerchio inclinato su cui Wotan ha addormentato Brunilde, mentre le pareti rocciose intorno sono evocate dal video, così come i video hanno mostrato, nel corso delle due serate, cieli, lave, tempeste cosmiche, eclissi, il globo terracqueo così come lo vedono gli dèi dal loro cielo, l’anello del dominio che ruota incessantemente. Ruota nell’aria, evocata da Sieglinde, anche l’immagine luminosa della spada di Wälse-Wotan infissa nell’albero della casa di Hunding, l’albero che poi si trasforma in un totem luminoso e ruscellante di luci e rune misteriose - giustamente: la Fura suggerisce che è il doppio terrestre del “frassino del mondo”, perno dell’universo della cosmologia nordica, da cui Wotan ha strappato il ramo con cui ha fatto la sua lancia – ma poi anche rifugio di uccelli e uccellini da cartoni animati nella scena dell’amore dei Velsunghi.   

L'Oro del Reno. Il finale
L'Oro del Reno. Il finale



Per chi scrive il Ring ha sempre funzionato così, come un grande sogno, e stavolta anche di più. Per i wagneriani più intransigenti e puristi ci sarà stato anche da meravigliarsi per come questa messinscena manovra alla grande l’ingenua fame di realtà o, al contrario, di meraviglia, del pubblico, l’ingenua mitologia della fantascienza e del mondo fantasy. Ma perché non dovrebbe farlo ? il mito appartiene all’infanzia dell’uomo e il Ring è il capostipite di tutte le rivisitazioni moderne dei miti nordici. Forse c’è più racconto che pensiero in questo Ring della Fura, ma c’è comunque pensiero. Si tratta di decifrarne i simboli.  Pensiamo ai corpi-oro, prodotti in catena di montaggio nell’officina di Alberich nel terzo quadro dell’Oro (un omaggio a Fritz Lang e al suo cinema espressionista), e poi ammassati per pagare ai giganti il riscatto per Freia; al grande pendolo che oscilla come l’incensiere gigantesco di Santiago di Compostella e che è formato dai cadaveri dei guerrieri che poi le Valchirie recheranno al Walhalla, nel secondo atto della Valchiria; prima ancora, alla straordinaria torre umana di acrobati che evoca il Walhalla alla fine dell’Oro. Altro non sono, nel comporsi di arti umani che si congiungono, che corpi che danno corpo all’immagine grafica dell’uomo pensante, disegnata a sua volta da un reticolo di corpi umani, che si delinea sullo sfondo fra il primo e il secondo quadro dell’Oro, dal disgregarsi dell’immagine innocente e inquietante insieme del feto d’oro che campeggiava, enorme, sullo sfondo del primo quadro: divinità, pensiero, culto, valore, dominio sono fatti da uomini, legano gli uomini, ne fanno materiale per la civiltà, le sue composizioni, i suoi compromessi, i suoi disagi. Un feto è fatto per essere partorito e dunque il bambino d’oro aspetta il furto maieutico di Alberich: non possiamo forse più credere all’innocenza primigenia dell’oro prima della “tragedia dell’accumulazione”, del furto dell’uomo all’uomo, quel Prima della Storia a cui certo pensava Wagner, nel momento cruciale della concezione dell’Anello, quando era un rivoluzionario, influenzato dal pensiero dell’amico Bakunin, condannato in patria e esule dopo i moti del ’49 a Dresda.       

La Valchiria. Atto I
La Valchiria. Atto I



L’impressione dello spettacolo, in definitiva, è di una geniale scoperta di Wagner in cui ci si è lasciati conquistare in pieno dalla forza del mito, immergendovisi con una freschezza e una mancanza di inibizioni assolute, ma, lo ripetiamo, senza mancare, per quel che ci riguarda, l’appuntamento con il senso e le profondità dell’Anello. Può darsi che poi Sigfrido e Crepuscolo degli Dèi vadano per altre strade: dovremo aspettare il 2009 per dirlo. Ma da quello che si è visto finora, il risultato è qualcosa di realmente nuovo rispetto alle messinscene dell’Anello degli ultimi quarant’anni, improntate in casi rari ma comunque significativi – al Metropolitan ad esempio - ad un’impossibile fedeltà al gusto rétro, molto più spesso a variazioni sul tema dell’Anello come saga e anche psicanalisi del potere (il Ring Boulez-Chéreau del centenario a Bayreuth), se non dell’accumulazione capitalistica tout-court, con tanto di Wotan-Krupp in finanziera (quest’ultima, del resto, è una visione che ha una tradizione importante, per cui, volendo, si potrebbe risalire ad un classico della letteratura wagneriana, Il wagneriano perfetto di George Bernard Shaw, dove questa visione dell’Anello come grande saga antiborghese è espressa con chiarezza anche se con humour) e una cassazione pressoché completa dell’elemento propriamente mitico. Fossimo il Teatro del Maggio ce lo terremmo caro questo Ring, e ce lo terremmo stretto, riproponendolo ciclicamente a Firenze - nonostante le difficoltà dei teatri d’opera non vogliamo credere che si ometterà di riproporlo tutto nel 2010 com’era stato promesso - e magari portandolo in tournée.

La Valchiria. Atto III, La cavalcata delle Valchirie
La Valchiria. Atto III, La cavalcata delle Valchirie



A Zubin Mehta va il merito di aver voluto, si può dire preteso questo suo nuovo Ring a Firenze, anzi, se sono veritiere le indiscrezioni e gli echi della stampa, di averlo posto come condizione per la sua permanenza a Firenze. La principale scommessa è una riscossione degli interessi del proprio più che ventennale lavoro fiorentino come direttore principale, in forma di proposta di prologo e prima giornata con un solo giorno di riposo nel mezzo, e bisogna sapere cosa sia per un’orchestra suonare Wagner per rendersi conto del valore di una simile performance professionale per un complesso sinfonico specialmente italiano. L’orchestra ha reagito validamente, con il suo suono più fiammeggiante e aguzzo e forse meno morbido, solenne e “brumoso” del suono wagneriano doc, o preteso tale, fornendo una prova nel complesso encomiabile. Oramai Mehta lo conosciamo bene, e, così come non ci ha sorpreso il suo Rheingold oggettivato, quasi spogliato di eloquenza, quasi volesse lasciare il primo piano alla messinscena, nemmeno ci ha sorpreso vederlo due sere dopo, appena salito sul podio, attaccare d’impeto la Tempesta  e riprendersi d’autorità il ruolo di protagonista assoluto nella Valchiria,  in una chiave romantica di lirismo intimo ma pieno di profondo slancio e vibrante di accensioni tempestose al momento giusto, come appunto nella Tempesta iniziale, ma senza concessioni di sorta al kitsch wagneriano più consueto e scontato, ad esempio nella Cavalcata. Nell’intimo e seducente intrecciarsi fra gli archi dei temi dei Velsunghi, Siegmund e Sieglinde, il primo atto di Valchiria ci è sembrato una delle cose migliori, più trascinanti, che Mehta abbia mai fatto con la sua orchestra di Firenze, ma ciò che più ci ha impressionato, in questo direttore non facile a lasciarsi andare, è stata la lettura in profondità, calibrata ed insieme profondamente commossa e partecipe, di tutta la parte di Wotan, interpretata in una chiave tormentata e finalmente struggente nel finale, l’addio a Brunilde. Qui Mehta non solo ha messo l’accento in modo originale sulla figura centrale dell’Anello,  ma si è valso al meglio delle peculiarità vocali e attoriali dell’ottimo Juha Uusitalo, Wotan vichingo e lungocrinito di grandiosa presenza, statuario ma tutt’altro che statico, anzi naturalmente propenso per fisionomia vocale e disposizione attoriale ad accentuare i tormenti del dio, il migliore del cast, com’è giusto che sia nell’Oro e nella Valchiria.  Nel complesso i cast wagneriani soffrono attualmente gli stessi problemi di quelli verdiani, e cioè ci sono meno voci “grandi”, e mancano un po’ d’incanto, di mistero. Questo non faceva eccezione, ma tutti erano così coinvolti, convinti, partecipi che il risultato è stato buono comunque, come si è visto dagli applausi che hanno premiato tutto il cast, ma in particolare, oltre al Wotan di UUsitalo, Siegmund e Sieglinde, Peter Seiffert e Petra  Maria Schnitzer, con il giusto tributo al veterano wagneriano Matti Salminen (Fasolt nell’Oro e Hunding nella Valchiria) e alla prova di coraggio, nel lanciare il suo “Heiaha Heiaha Hojotoho” dalla macchina volante, della Brunilde di Jennifer Wilson, forse un po’ fragile per i gridi di guerra dell’amazzone,  ma convincente negli aspetti più filiali e soavi del personaggio.          





















Das Rheingold (L'Oro del Reno) – Die Walküre (La Valchiria)
Prologo e prima giornata del Ring des Nibelungen (L'Anello del Nibelungo)


cast cast & credits
 
trama trama
 

 

 

 

 



 


 



Zubin Mehta
Zubin Mehta


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Arthur Rackam, Rackham’s Color Illustrations for Wagner’s Ring [The Rhinegold & the Valkyrie, 1912], Freya.
Arthur Rackham, Rackham’s Color Illustrations for Wagner’s Ring [The Rhinegold & the Valkyrie, 1912], Freya.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 


 



Arthur Rackham, Rackham’s Color Illustrations for Wagner’s Ring [The Rhinegold & the Valkyrie, 1912], Brunilde
Arthur Rackham, Rackham’s Color Illustrations for Wagner’s Ring [The Rhinegold & the Valkyrie, 1912], Brunilde

 

 
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