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L'inverno dell'anima

di Laura Bevione
  Inverno, di Jon Fosse
Data di pubblicazione su web 19/11/2003  
Jon Fosse è valutato il maggiore scrittore norvegese contemporaneo: poeta, romanziere, saggista e, dopo anni di sfrontata riluttanza alla scrittura teatrale, anche drammaturgo di successo. Inverno è un asciutto e concentrato atto unico, costruito sulla sottrazione e la scarnificazione delle parole e delle azioni, ma anche delle emozioni e dei sentimenti.

Un uomo – impiegato o uomo d'affari, sposato con figli – e una donna – una prostituta, malata, forse tossicodipendente – si incontrano, si scontrano e si ritrovano su uno sfondo indefinito, reso ancora più vago dall'accecante luce elettrica ovvero dal buio fitto che si alternano in sala. Gli spazi in cui si svoge l'azione sono due, entrambi sostanzialmente anonimi: la panchina di un parco cittadino e la camera di un albergo. Nella prima parte la donna, costretta da una sofferenza sconosciuta a movimenti impacciati e difficoltosi, si aggancia disperatamente all'uomo, timido e disorientato. Con un inatteso ribaltamento, però, poco dopo siamo testimoni dell'avvenuta "guarigione" di lei, che ora ci appare sicura e disincantata, pragmatica nell'abbattare le romantiche illusioni di lui.
Inverno di Jon Fosse



Un ironico lieto fine conclude il dramma, suggellandone l'ambiguità e la raggelata indeterminatezza, peculiarità amplificate dalla lingua scarna, volgare e "povera" voluta da Fosse. Una scelta dettata dalla volontà di evitare il rischio che le parole possano soffocare nudi sentimenti e istinti e che si traduce in dialoghi spezzati e monocordi. Ne risulta un paesaggio immobile, illuminato da una luce gelida che imprigiona e congela i gesti, le parole e le sensazioni. Fosse, insomma, consegna ad attori e registi quello che più che un testo potremmo definire uno schematico e quasi "scientifico" canovaccio, cui soltanto artisti dotati di reale e generoso talento potrebbero essere in grado di donare significati e sensibile "carne".

Il drammaturgo norvegese deve dunque essere ben grato all'intelligenza scenica e alla misurata ironia di Valter Malosti e al sorprendente talento di Michela Cescon, infaticabili nel compito che si sono assunti di attribuire efficacia scenica e senso a un copione che, forse, poteva essere trascurato a favore di drammaturgie più consone alle nostre "calde" latitudini.



Inverno
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Inverno
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