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Rough Cut

di Franco Sepe
  Rough Cut
Data di pubblicazione su web 05/03/2007  

È il più delle volte destino delle avanguardie ristagnare, anziché estinguersi del tutto, perseverando nel già detto, nel gesto museificato un tempo felicemente risolto in estro e provocazione. Proprio così è stato di recente con Quartett di Bob Wilson – e in questo senso potremmo far nostro il giudizio di Siro Ferrone, apparso su queste stesse colonne; ad eccezione di quanto si dice di Heiner Müller, autore della pièce tratta da Laclos – presentato anche a Berlino nel corso del festival Spielzeit Europa, che si è da poco concluso. Un festival dalla cadenza annuale, che questa volta, proprio al suo epilogo, ci ha fatto dubitare su quella legge quasi naturale che sancisce la sclerosi di ogni passata avanguardia. Ci riferiamo allo spettacolo Rough Cut, realizzato da Pina Bausch nel 2005, a Wuppertal – divenuta, grazie alla coreografa tedesca, una delle capitali mondiali del teatro danza – ma che, poco dopo la sua anteprima, lavorato nel materiale ancora grezzo (come recita il titolo), ha subìto, nell’arco di questi ultimi due anni, rimaneggiamenti e approfondimenti vari, prima di raggiungere la sua compiutezza formale. Ebbene stupisce, e insieme entusiasma, constatare come un artista-caposcuola riesca a rigenerarsi ed ad evolversi ancora, restando fedele alla propria poetica, piuttosto che assurgere ad epigono di se stesso, piuttosto che richiamare enfaticamente l'attenzione su dei marginalia. Ma ancor più stupisce la Bausch, in quanto i suoi ultimi lavori, anteriori al 2005, si erano limitati a consolidarne la fama, non certo ad accrescerla.

 

 

Silvia Farias (foto di Laurent Philippe Klein)
Silvia Farias
(foto di Laurent Philippe)

 

 

L'antefatto empirico di Rough Cut è da rintracciare in un soggiorno a Seul, nell'impatto con un'altra cultura, e, soprattutto, con una tradizione musicale (e rituale) lontana dalla nostra. È stato questo impatto dunque a dare la stura a una creatività inedita – anche se qualcosa di simile era già accaduto dopo l'esperienza australiana, dopo quella brasiliana. Certo è che da questa incetta di impressioni è nata una partitura serrata di sequenze fortemente evocative, dove i frammenti di memoria visiva (frontalmente allo spettatore, la parete alta dodici metri che riproduce uno di quei tanti ghiacciai, mèta di scalatori e vanto dei coreani; o, più in là, il filmato che presenta, sul monte divenuto improvvisamente tela da proiezione, una suggestionante mareggiata, ma anche la scala mobile affollata di un probabile centro commerciale di Seul) si saldano alle parti strutturali, prive di sviluppo drammaturgico, e legate piuttosto l'una all'altra per accumulazione.

 

 

Rough Cut
Un momento dello spettacolo
(foto di Bettina Stoί)

 


Complessivamente un fiorire ininterrotto di idee, per quasi tre ore di spettacolo, e tutte più o meno congeniali a un progetto che assume trasparenza e legittimità nel suo stesso compiersi, passando per il gioco scambievole di euforia e malinconia, per la dialettica di libertà e possesso nella contrattazione dei sessi, per l'abbandono del corpo nell'estasi o nel sonno, o per la sua irruente rinascita ad opera della passione. Diciassette ballerini, alcuni tra i quali giovanissimi, appartenenti ad un ensemble di recente formazione, alternano l'assolo – come quello dell'esile Ditta Miranda Jasifi, che si produce unicamente nel linguaggio stilizzato delle mani e dei piedi di marca asiatica, o l'altro della brasiliana Regina Advento, sulla cui accattivante e maestosa flessuosità di movenze si ripartisce lo sguardo incantato dei pretendenti – a duetti e a raggruppamenti corali, che godono di vita propria, o fanno da cornice alle singole esibizioni virtuosistiche, o che da esse si dipartono evolvendosi contrappuntisticamente, usando talvolta i dislivelli rocciosi dello sfondo per delle miniature ben integrate nel generale disegno sinfonico. E il ritmo che ne nasce, solo eccezionalmente ispirato alla matrice orientale di cui si diceva, ma che interagisce piuttosto con un oculato assemblaggio di musiche di genere vario, si fa sempre più sostenuto, traducendosi nel finale in pura energia e nell’assoluto dominio cinetico-estetico dei corpi.







Lettera da Berlino
Rough Cut di Pina Bausch
cast cast & credits
 

Pina Bausch
Pina Bausch
(foto di Atsushi Iijima)



 
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