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Un Gabbiano incerto tra dramma e comicità

di Carmelo Alberti
  Il gabbiano
Data di pubblicazione su web 12/02/2007  

Dopo la storica realizzazione al Teatro d'Arte di Mosca di Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko nel dicembre 1898, Čajka (Il gabbiano) sembra divenuto il cruccio della regia contemporanea, divisa nell'interpretare il capolavoro di Anton Čechov entro lo schema di un realismo psicologico, oppure assecondando le "intenzioni" čechoviane, in chiave di lieve commedia. Lungo la sottile linea di confine che separa il comico e il drammatico, il regista russo Andrej Konchalovsky, lasciata per ora da parte la macchina da presa, recupera a distanza di vent'anni il suo interesse per un testo già realizzato all'Odéon di Parigi nel 1987 con Juliette Binoche e André Dussolier. Il suo nuovo Gabbiano, arrivato in Italia come una visita quasi inaspettata in tre sole città, Roma, Venezia e Reggio Emilia, è recitato dalla compagnia del Teatro Accademico Statale di Mossovet di Mosca.

Si sviluppa nell'arco di tempo che collega il battito d'ali di un gabbiano, abbattuto da un colpo di fucile sulle sponde del lago, ad un secco rumore di uno sparo, che pone fine alla giovane vita del poeta Konstantin Treplev. È un intervallo entro il quale la "commedia" ricava giustificazione e movimento nell'amara insoddisfazione dei personaggi, ciascuno dei quali pare condannato ad inseguire invano la persona amata. Per sfuggire l'angoscia chi può annuncia ripetutamente la volontà della fuga da quel luogo fuori dal tempo, affrettandosi a prendere il treno che porta verso la capitale, verso la vita brillante dei teatri e dei salotti letterari. Chi non può, si rassegna a restare prigioniero della noia quotidiana.


Il gabbiano
Il gabbiano


 

La genialità di Čechov consiste nel presentare i suoi protagonisti alla stregua di uomini comuni, segnate da tic e deformazioni che spesso li rendono ridicoli, grotteschi, anche quando piangono. Il parco e la casa della tenuta di Sorin somigliano all'officina di un esperimento, lungo quattro atti, utile a provare il dissolvimento dell'antico rapporto tra uomo e natura, sotto i colpi di un vano e contraddittorio conflitto sulla funzione e sul significato dell'arte. Si ha l'impressione che la mania dello scrivere e del recitare sia un tarlo, un germe in grado di distruggere l'incerto equilibrio di esseri eternamente insoddisfatti.

La messinscena di Konchalovsky, che stenta a sollevarsi oltre l'esercizio di mestiere, è impreziosita dall'interpretazione corale e dall'atmosfera di trasparenze e di rimandi naturali inventata dallo scenografo Ezio Frigerio. Per più di tre ore la rappresentazione intreccia tante piccole storie di persone semplici e di altri che si credono importanti. Così l'attrice Irina spegne dentro di sé lo slancio materno nel tentativo di fermare il trascorrere degli anni tra le braccia dello scrittore di successo Trigorin. La fragile Nina, che si presta a recitare sul palcoscenico in riva al lago le astruse parole di Treplev, si perde per sempre e invano, attratta da Trigorin. Anche il vecchio Sorin, il medico, il maestro, l'amministratore delle terre, sua moglie e sua figlia Masha sono travolti dall'illusione di poter ancora vivere un'esistenza differente.

Konchalovsky s'affida ad un gioco di contrappunto tra parole dette e stati d'animo, tra l'essere e l'apparire dei personaggi. In quelle figure di provinciali fuori dal tempo la regia accentua, da un lato, la mediocrità e l'inerzia dell'animo, dall'altro, l'energia possente e distruttiva dell'amore privo di speranza; anche i conflitti che scoppiano tra di loro sono costellati da goffaggini e gelosie, rancori e ingenuità. Treplev, ad esempio, recitato in chiave nevrotica e malata da Alexey Grishin, giunge a deformare le movenze delle braccia e delle gambe, divorato dal bisogno edipico di attirare l'attenzione della madre; Irina Rozanova, che è l'attrice Arkadina, si umilia e s'innalza dinanzi all'incerto scrittore di fama, recitato da Alexey Serebriakov, un individuo assetato di frasi rubate dalla realtà e dal bisogno di eterna giovinezza. Julia Vysotskaya, nei panni di Nina, mette in campo una fragile bellezza, rivestita di bianco, e nel finale un rapido e infelice sfiorire. Anche gli altri artisti si sono guadagnati gli applausi degli spettatori: Anatoly Adoskin un vecchio Sorin affettuoso e complice dei sogni giovanili; Eugeny Steblov, il medico Dorn immobile e ironico, ad un tempo, nel presumere di essere per sempre l'amato delle donne; Vladimir Goriushin, l'interessato e severo amministratore Šamraev; Olga Anokhina, Polina Andreevna, donna bizzarra e protettiva nonostante i suoi anni; Olga Miloyanina, una Maša eternamente innamorata di Treplev; Yuri Tcherkasov, il bonario e sottomesso maestro Medvedenko; Eugeny Ratkov, il goffo inserviente Jakov.

 


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